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Il 29 e 30 aprile si terrà il Festival della comunicazione non ostile, per quell'occasione ParoleO_Stili (un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole), e SWG ( ìl’istituto specializzato in ricerche demoscopiche che sin dal 2017 li accompagna nelle loro attività), hanno raccolto dei dati sull'utilizzo dei social da parte dei governi e in merito alle scelte che numerosi privati e aziende hanno fatto in merito al conflitto Russia-Ucraina

 

Alcuni risultati:

  • innanzitutto, quella di utilizzare i social e il web in modo massiccio è la scelta che ha determinato l’entrata del presidente ucraino Zelensky tra i presidenti più influenti di internet. Secondo una statistica di Crowdtangle e DigiTips si posiziona al sesto posto, subito dopo i due account del Presidente degli USA Biden e prima della Regina Elisabetta e di Papa Francesco. A guidare la classifica c’è il Primo Ministro dell’India Narendra Modi;
  • ma, soprattutto, "Influencer" è una delle parole chiave nelle strategie di comunicazione politica non soltanto della Russia ma anche degli USA. Sia Biden che Putin hanno chiamato a raccolta i creator e le creator più influenti dei loro Paesi per organizzare la campagna di informazione in merito al conflitto (sono state 800 mila le persone che hanno seguito una sola delle dirette su TikTok organizzate dall’influencer statunitense Aaron Parnas);
  • inoltre, il 72% degli italiani ritiene che privati e  aziende (vedi Elon Musk, Anonymous, Pornhub, etc…) intervenute nel conflitto con scelte concrete abbiano dato una maggiore forza alle operazioni dei governi e delle istituzioni internazionali e per il 69% rappresentano un segno di attenzione che questi soggetti hanno dimostrato verso un popolo oppresso;
  • infine, uno dei dati più significativi è che quasi il 50% degli intervistati crede che questa sia una guerra nuova nella comunicazione fatta dai media.

Immagine CHli4TOEW8KWQwkSURsukAE non hanno tutti i torti, un'inchiesta di "Valigia  Blu" (un blog collettivo che vuol contribuire in maniera costruttiva e propositiva all'ecosistema informativo), dimostra che l’informazione dominante sui giornali, alla radio e alla televisione ha fornito un’efficace rappresentazione del metodo che pervade le redazioni nel mondo occidentale, composte per la maggior parte da uomini bianchi di mezza età, di classe media e di mezza memoria. Abbiamo assistito e continuiamo ad assistere, sullo sfondo delle notizie tragiche dall'Ucraina, alla normalizzazione dei conflitti in altre parti del mondo, allo spaccio di falsi contenuti, alla dimenticanza per i conflitti accaduti anche in Europa dopo la II Guerra Mondiale. 

Per quanto riguarda i singoli individui, è forte l’esigenza di esprimere le preoccupazioni e i pensieri al proprio gruppo attraverso i social media. L’impulso a condividere uno stato o un meme può alleviare la propria angoscia in risposta a eventi travolgenti ma in un’epoca in cui il sensazionalismo è il motore dominante di molti media, il rischio di propagare contenuti distorti e potenzialmente dannosi è elevato. E l’entità di propagazione degli effetti dipende dall’estensione del proprio gruppo di appartenenza. Il problema è che anche rappresentanti istituzionali, onniscienti (che abbiamo imparato a conoscere durante la pandemia) e persone di rilievo in cui riponiamo la nostra fiducia hanno dimostrato, nei loro accorati interventi pubblici, delle lacune dolorose nelle loro memorie soggettive. Tali narrazioni accompagnano il discorso pubblico sulla guerra e sui suoi protagonisti in funzione di una determinata rappresentazione degli eventi e guidano, possiamo esserne più o meno consapevoli, i contenuti degli stessi stati che decidiamo di condividere dai nostri account sui social media.

Quali valori e quale costruzione di realtà sono stati trasmessi nel discorso pubblico?

In pochi giorni abbiamo seguito come sia stata avallata l’attribuzione di gradi di ‘civiltà’ alle persone che fuggono da zone di guerra. A seconda della distanza da noi, in termini di spazio e colore della pelle, siamo autorizzati a ingrandire o a rimpicciolire la nostra umanità e la nostra empatia verso gli altri. 

L’attenzione e la responsabilità verso quello che decidiamo di condividere attraverso i social media ci preserva dall’amplificare le costruzioni ideologiche e distorte della realtà e preserva anche chi può imbattersi nei nostri contenuti. La consapevolezza nel dosare le immagini e i video che raccontano la distruzione aiuta a proteggerci dalla desensibilizzazione verso le tragedie e le sofferenze che l’eccessiva esposizione trasforma, alle nostre percezioni, in eventi normali, attesi e inevitabili.

La proliferazione dei meme digitali e delle reazioni agli stessi che pure ha caratterizzato questi giorni di ricerca di aggiornamenti attraverso i social media può incrementare l’insensibilità delle persone e il loro distacco dalla realtà di una situazione, così come può contribuire a costruire una memoria sociale alterata che trasforma l’orrore in umorismo. Questo diventa preoccupante quando vengono a mancare altre fonti dirette e indirette della memoria collettiva all’interno di una comunità in un determinato contesto spazio-temporale.

Come definiti da Emily Wong e Keith Holyoak del Dipartimento di Psicologia del'Università della California, i meme di solito si basano su un'immagine visiva che funge da fonte, il cui significato viene spostato su un nuovo argomento mediante l'aggiunta di testo verbale.  Le autrici riportano che i meme servono a cristallizzare gli argomenti in forme compatte e facilmente condivisibili, fornendo un potente strumento di persuasione, mobilitazione e raggiungimento di un nuovo pubblico. All'interno delle comunità che li fanno circolare, i meme riflettono un tentativo di gestire il presente, scrive nelle sue analisi Lisa Silvestri (ricercatrice di etica della cultura digitale che ha esplorato il potenziale dei meme di influenzare non solo il contenuto della memoria pubblica), ma anche gli atteggiamenti con cui ricordiamo quel contenuto.

Tuttavia, per le stesse spinte della tecnologia della comunicazione digitale e dei cicli infiniti di notizie, fissati sulle esperienze del momento presente, siamo portati a trasmettere frettolosamente messaggi disumanizzanti e a costruire memorie condivise distorte. Anche in questo caso una selezione consapevole e responsabile può rendere i meme uno strumento creativo per l’espressione collettiva, per sfidare le norme e screditare le narrazioni dominanti. 

Occhio, allora, a quello che scriviamo e leggiamo! 

L'immagine, in basso a destra, rappresenta "La stampa gialla: coloro che la nutrono e coloro che nutrono". Illustrazione di LM Glackens per Puck, 1910