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Grafico volume rifiuti nucleari in Europadi Serena Moriondo

Assomiglia ad un quadro di Piet Mondrian, fondatore del neoplasticismo, ma non lo è, si tratta della figura, pubblicata sull’ultimo Report di Legambiente dal titolo “Rifiuti radioattivi ieri, oggi e domani: un problema collettivo 2021”, che raffigura la distribuzione, a fine 2016, dei volumi totali di rifiuti radioattivi negli stati membri dotati di un programma nucleare.

FOTO Piet Mondrian BauhausSecondo la Commissione Europea attualmente in Europa sono presenti 126 impianti nucleari distribuiti in 14 paesi (Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Olanda, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito). In questi paesi, insieme ai 2 che hanno intrapreso la strada del decommissioning (Italia e Lituania), si trova circa il 99,7% del volume totale dei rifiuti radioattivi stoccati in UE.

Oltre agli impianti nucleari attivi per la produzione di energia, in UE ci sono 90 impianti spenti, 3 in fase di decommissioning e 82 impianti utilizzati in ambito di ricerca, distribuiti in 19 Stati membri e che comunque producono rifiuti radioattivi. A fine 2016, i rifiuti radioattivi totali erano 3,46 milioni di metri cubi corrispondente a circa 7 litri pro-capite. La maggior parte di questi rifiuti (il 90% circa) è costituita da rifiuti a molto basso e basso livello di radioattività. Per il trattamento e lo stoccaggio di questi rifiuti sono in funzione 30 impianti distribuiti in 12 Paesi, metà dei quali sta programmando di costruire nuovi impianti in previsione di un aumento nei prossimi anni.

In Italia dove, attraverso un referendum nel 1987, si è scelto di sospendere il programma nucleare, secondo gli ultimi dati forniti dall’ISIN (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione) che riguardano il 2019, sono presenti circa 31mila metri cubi di rifiuti radioattivi collocati in 24 impianti distribuiti su 16 siti in 8 Regioni. Oltre ai rifiuti radioattivi, tali impianti detengono anche il combustibile esaurito, le sorgenti dismesse e materie nucleari. A questi numeri, andranno poi aggiunti nei prossimi anni i rifiuti radioattivi ad alta attività che torneranno nel nostro Paese dopo il ritrattamento all’estero del combustibile esausto proveniente dagli ex impianti nucleari italiani (Latina, Trino e Caorso), e quelli di media attività che si verranno a generare dalle attività di smantellamento degli impianti dismessi. Impianti e siti di stoccaggio che sono stati adattati, per necessità, ma che sono assolutamente inidonei a mantenere in sicurezza materiali radioattivi. Gestioni che in taluni casi hanno favorito la proliferazione di attività criminali di smaltimento illecito di rifiuti, come evidenziato all’interno del rapporto.  

Fino al 5 gennaio 2021 – giorno in cui è stata pubblicata dalla Sogin la CNAPI (Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee) che ha individuato 67 aree potenzialmente idonee ad ospitare un unico deposito nazionale per i rifiuti a bassa e media attività – l’attenzione sulla necessità di trovare una soluzione ad un problema che è sì eredità del passato nucleare del nostro Paese, ma anche frutto delle attività che ancora oggi e in futuro genereranno questa tipologia di rifiuti, non c’era. E mentre è scattato subito l’allarme nei territori per evitare che il futuro Deposito Nazionale capiti proprio lì da loro – scrive Legambiente nel suo rapporto -  in pochi si sono domandati come sono stati gestiti fino ad oggi tali rifiuti e se gli attuali siti deputati “temporaneamente” ad ospitarli siano minimamente idonei per farlo.

 La Carta è stata realizzata a seguito di una consultazione pubblica ora si attende che il Ministero della Transizione Ecologica, dopo aver acquisito il parere tecnico dell’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione (ISIN), approvi con proprio decreto la Carta, di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili. A quel punto ai aprirà un negoziato con Regioni ed enti locali. Le aree potenzialmente idonee sono disseminate in 7 Regioni. I siti non sono tutti equivalenti tra di essi ma presentano differenti gradi di priorità a seconda delle caratteristiche

Ecco dove si trovano:

  • Piemonte: 8 aree tra le province di Torino e Alessandria (comuni di Caluso, Mazzè, Rondissone, Carmagnola, Alessandria, Quargento, Bosco Marengo)
  • Toscana e Lazio:  24 zone tra Siena, Grosseto e Viterbo (comuni di Pienza, Campagnatico, Ischia e Montalto di Castro, Canino, Tuscania, Tarquinia, Vignanello, Gallese, Corchiano)
  • Sardegna: 24 aree della provincia di Oristano (Siapiccia, Albagiara, Assolo, Usellus, Mogorella, Villa Sant’Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Ortacesus, Guasila, Segariu, Villamar, Gergei)
  • Basilicata e Puglia: 17 zone tra le province di Potenza, Matera, Bari, Taranto (comuni di Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Gravina, Altamura, Matera, Laterza, Bernalda, Montalbano, Montescaglioso)
  • Sicilia: 4 aree localizzate nelle province di Trapani, Palermo, Caltanissetta (comuni di Trapani, Calatafimi, Segesta, Castellana, Petralia, Butera).

Nell’arco dei prossimi due mesi continuerà il dibattito pubblico che vedrà la partecipazione di enti locali e di ricerca, associazioni, sindacati, università per dare il via alla costruzione del deposito nazionale, che sarà costruito all’interno di un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito e 40 al Parco Tecnologico. Quest’ultimo sarà un centro di ricerca applicata e di formazione nel campo dello smantellamento nucleare, della gestione dei rifiuti radioattivi e della radioprotezione, oltre che della salvaguardia ambientale. Diversi i movimenti contrari alle scelte che si stanno delineando.

Nel frattempo l’Enea sta andando avanti con il megaprogetto sperimentale DTT (Divertor Tokamak Test) per la fusione nucleare. Il grande impianto per produrre energia rinnovabile con lo stesso principio che alimenta le stelle. E come sappiamo il ministro Cingolani sostiene la necessità di inserire la fusione nucleare nella transizione verde italiana. Quanto, ad oggi, sia realistica questa opzione non è chiaro e rimangono molti dubbi.

eolico offshore3Negli italiani c’è il ricordo di un referendum vinto e il sentimento di ottenere tutta l’energia verde da eolico, fotovoltaico, idrogeno verde, biomasse. La verità però è che non ci abbiamo mai provato veramente e ora, che la guerra ha messo in chiara evidenza che molte economie dipendono fortemente dall'energia da combustibili fossili con un alto rischio di shock dei prezzi e persino di carenze, la Commissione europea ha approvato la tassonomia green per la classificazione del gas e del nucleare come fonti energetiche di transizione verso l’obiettivo della neutralità climatica nel 2050.

Foto scorie nucleariUna cosa è sicura, dovremo ridurre la nostra dipendenza complessiva dalle importazioni di combustibili fossili investendo in modo significativo nell'energia pulita e nell'efficienza energetica. E’ noto, ad esempio, che il miglioramento dell'interconnessione tra le reti elettriche domestiche potrebbe ridurre i costi energetici e migliorare la sicurezza. Come scrive Dario Di Vico sul Corriere della sera di oggi, il rebus che ci si presenta davanti è come riuscire a conciliare le scelte di oggi con la transizione salva-Pianeta.

Più in generale, una transizione strategica verso l'energia pulita dovrebbe mirare a ridurre le vulnerabilità lungo il percorso ed essere accompagnata da investimenti nell'innovazione per sviluppare le tecnologie necessarie per lo zero netto. Il resto, per ora, è fantascienza ma i pericoli continuano ad essere reali.

Report Legambiente Link: Report_Legambiente_Rifiuti-radioattivi-ieri-oggi-e-domani_2021.pdf

Atti del Seminario Nazionale SOGIN, conclusosi il 15 dicembre 2021 Link: atti-conclusivi-seminario-nazionale.pdf