Intervento di Gaetano Sateriale alla Masterclass di Visioneroma del 12 novembre 2020
IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA: #Nextgenerationitalia - Le principali sfide socio-territoriali
(con Stefano Lenzi, Andrea Pasa e coordinata da Elena Battaglini)
- Il tema di questa Masterclass è molto ben scelto, sia per la fase di emergenza che stiamo vivendo, sia per impostare il futuro ambientale, sociale ed economico del Paese impiegando al meglio le risorse che ci saranno. Il territorio è infatti spesso dimenticato, sia nel compimento delle analisi necessarie che nelle decisioni che vengono prese. Mentre le realtà territoriali sono, nelle loro specificità, indispensabili per realizzare qualsiasi progetto di trasformazione e di miglioramento. Ma cos’è il territorio oggi?
- Da un punto di vista storico-culturale il territorio in Italia è un patrimonio pluri-millenario di differenti identità: lingua, architettura, paesaggio, ambiente, cultura… (persino culinaria) forse unico al mondo perché sono 2800 anni di storia continua (la Grecia, la Francia, la Germania, la Spagna hanno patrimoni territoriali ricchi ma più discontinui: antichi o recenti che siano). La continuità millenaria (preromana, romana, medievale, rinascimentale, barocca, illuminista, romantica, ecc.) è un enorme valore aggiunto (almeno potenziale).
- Da un punto di vista storico-economico, invece, il territorio è sinonimo di diseguaglianze consolidate: Nord/Sud (le grandi migrazioni del 900), poi le 3 Italie, ora le 5 Italie (di cui parla giustamente Riabitare l’Italia) con diverse realtà dentro i confini nazionali e regionali: i centri storici, le periferie, i borghi, le Aree interne, le coste, le aree metropolitane (ammesso che esistano davvero). Il territorio, dal punto di vista socio economico, è un valore sottratto, non aggiunto.
- il Covid ci ha fatto scoprire che ci sono 20 sanità diverse in Italia: almeno 20! Che i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) non esistono. Che uno ha più o meno probabilità di ammalarsi e sopravvivere a seconda di dove abita. Che ci sono più disegueglianze anagrafiche, economiche, sociali, territoriali. Ma già nel pre-covid acqua potabile, trattamento dei rifiuti, trasporti pubblici, servizi di base, ecc. erano molto differenziati. Si pensi al fatto che gli asili nido pubblici esistono solo in alcune Regioni del Nord.
- Da un punto di vista amministrativo istituzionale il territorio è disarticolato tra Stato, Regioni, Città Metropolitane, Città medie, Province (ormai un soggetto istituzionale zombie), Comuni minori che non comunicano fra loro né in emergenza, né, tantomeno sulle scelte di sviluppo. E polemizzano sulle decisioni da prendere (spesso a prescindere dal merito) e su chi le debba prendere. Tant’è che sempre più spesso si fa ricorso alla discutibile figura del “Commissario ad acta” o alla creazione di nuove “agenzie” per risolvere problemi che l’ordinaria amministrazione non è in grado di affrontare. Questa disarticolazione non è in grado di garantire nemmeno la “manutenzione” del patrimonio del territorio (figurarsi la sua valorizzazione).
- (Sia detto fra parentesi che la politica organizzata - i partiti classici e quelli più nuovi - non è più quel tessuto connettivo sociale e anche territoriale che era stato in tutto il 900. In cui tutti, anche i più periferici, si sentivano parte di una identità collettiva. Ora i cittadini, le comunità, i territori, non hanno interlocutori, non hanno punti di ascolto, non hanno forme di rappresentanza).
- Un grande vuoto politico-sociale da colmare, un grande variegato territorio da riconnettere. La parola d’ordine, per corrispondere ai nuovi bisogni e incrementare il valore aggiunto territoriale dovrebbe essere: ridurre le diseguaglianze senza cancellare le diversità.
- I fondi europei vanno spesi in questa direzione: qualsiasi tema si decida di affrontare. In coerenza con le linee guida Ue, servono indirizzi nazionali, scelta delle priorità a livello regionale, progetti territoriali partecipati e condivisi. Il territorio come l’abbiamo definito deve essere co-protagonista della programmazione e della realizzazione dei progetti.
- Dal punto di vista di politica economica il modello che propongo è un classico modello keynesiano: investimenti pubblici (non spesa pubblica o benefici fiscali a pioggia) per smuovere investimenti privati, ridurre la rendita, far crescere la domanda interna, far nascere imprese e creare lavoro (dalla sanità alla scuola, ai servizi di prossimità, alla manutenzione dei fiumi, alla riduzione dei rischi, alla infrastrutturazione digitale, alla creazione di parchi naturali, ecc).
- In grande sintesi, si potrebbe dire (l’Associazione Nuove Ri-Generazioni lo sostiene con forza) che le linee guida UE disegnano una logica di 2 Welfare: un Welfare delle persone e un Welfare del territorio (in cui innestare il massimo dell’innovazione del lavoro e delle competenze). Questa potrebbe essere un “nuovo modello di sviluppo” e di competitività per tutta l’UE. Altrimenti, nella globalizzazione, la competitività con la Cina, l’India e l’Asia ce la dovremmo giocare sulla produzione dei beni di consumo durevoli? Assurdo e perdente.
- Saremo in grado di fare questo salto anche culturale? Senza l’apporto organizzato della società civile nei territori, non credo. Non credo a un Governo che - una volta imboccata questa strada - riesca a realizzarla senza l’apporto proattivo dei territori. Nel territorio, di fronte al vuoto politico, si sono diffuse le organizzazioni sociali. Si creeranno Reti sociali al posto delle organizzazioni politiche di massa del 900? È un possibile modello. È l’ambito in cui intende operare l’Associazione Nuove Ri-Generazioni. Se questo modello avrà diffusione e successo dipenderà anche da come si muove (e si innova) il sindacato.