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Foto disuguaglianze 1

di Serena Moriondo

Le risorse finanziarie sono determinanti, soprattutto quando sono ingenti come nel caso del PNRR, ma l’enfasi su queste ha messo in ombra gli altri requisiti fondamentali per il possibile successo trasformativo del Piano come la qualità degli interventi, la mobilitazione di saperi ed esperienze diffusi, l’efficienza e l’efficacia della spesa, l’integrazione delle diverse fonti finanziarie, la rapidità dei tempi di realizzazione, le aspettative sociali, oltre che, in particolare, la presenza di istituzioni inclusive che mirino, non solo a riparare i danni economici derivanti dalla pandemia, ma anche a superare le diffuse disuguaglianze sociali e i diffusi danni ambientali.  

La spesa pubblica in sé, anche se ingente, è soltanto una delle condizioni abilitanti dei processi di trasformazione, a maggior ragione se, come nel caso del PNRR, all’incirca la metà è destinata a realizzare opere pubbliche, spesso, peraltro, senza finanziamenti correnti per la gestione e i servizi. Tema affrontato nell'articolo "Quale futuro per il SSN?" pubblicato il 1° aprile sul questo sito.

Il difetto originario più grave del PNRR, come è stato detto in più occasioni anche dalla nostra Associazione, è quello di essere intenzionalmente un Piano assemblato “dall’altoper sommatoria di misure, azioni e interventi senza un'analisi dei bisogni e un progetto di cambiamento definito attraverso un confronto pubblico sui risultati attesi. Una sorta di "colata di spesa pubblica," come la definiscono due economisti profondi conoscitori del Mezzogiorno, Domenico Cerosino e Gianfranco Viesti, "un piano tecnico senza politica, senza geografia, senza discussione". 

IL PNRR è un “progetto di efficientamento di quel che esiste oggi: amministrazioni più efficienti e digitalizzate, scuole tecnologicamente più dotate, università più ricche di laboratori e di strumentazione tecnica, città un po’ più green, ferrovie e strade un po’ più veloci e sicure, imprese con macchinari più sofisticati, borghi con opere pubbliche e patrimoni edilizi meno fatiscenti. Un’Italia più moderna ma probabilmente non meno diseguale di prima, con più servizi ma non con meno squilibri di cittadinanza sociale e territoriale, con imprese potenzialmente più competitive ma con un sistema produttivo aggregato con persistenti divari interni e ritardi di innovazione, con università più collegate alle imprese ma più subalterne al sistema economico e con più precari, con industrie con più impianti smart ma con una crescita nazionale persistentemente lenta, sotto il potenziale."

Per il Sud il rischio è ancora più grande.  Nel PNRR non ci sono tracce esplicite di un progetto di cambiamento “attivo” del Mezzogiorno né, di conseguenza, “si individuano gli attori per costruirlo e una strategia coordinata tra soggetti e interventi. Anche in questo caso è dunque presumibile che a dominare saranno le sollecitazioni esterne connesse alle risorse finanziarie del Piano, la spontaneità e la puntiformità dei mutamenti legati ai singoli investimenti, la bassa o nulla unitarietà strategica e l’assenza di identificazione tra i segmenti che si modernizzano e la collettività nel suo insieme. Qualcosa avverrà, ma non si tratterà di una risposta strategica, dal momento che mancano gli attori protagonisti, le loro preferenze e azioni trasformatrici, un percorso di cambiamento indicato e gestito politicamente”.

La colata di spesa pubblica sottesa al PNRR che sta interessando il Sud, indurrà dei miglioramenti ma: “Nel 2026, anno di chiusura del PNRR, è assai probabile che ci troveremo di fronte a un Mezzogiorno nell’insieme migliore di quello odierno. Altrettanto probabile è che il Mezzogiorno del 2026 continuerà a mostrare i caratteri della dipendenza, della precarietà produttiva e occupazionale, dell’emigrazione, della distanza dalle regioni più sviluppate d’Europa.”

Per questo diventa essenziale - come ricordano Sateriale e Ricci nel libro "Ripartire dalle città" (Futura Ed., 2022) - un protagonismo locale, al fine di proporre percorsi di concertazione e contrattazione territoriale attraverso i quali, le presenze sociali organizzate da un lato, le amministrazioni di governo locale dall'altro, possano avviare concretamente gli obiettivi di sostenibilità, recuperando la mancanza di un confronto che ha caratterizzato il Piano fino a questo momento.