contattaci2
Chiamaci: 06 441 146 25
Scrivici una e-mail
area riservatacerca
cercaarea riservata
logo rigenerazioni NEWS 800x100 trasparente

foto saterialeGaetano Sateriale. Oggi è il Primo Maggio ed è naturale che si torni a parlare di lavoro, dopo tanto tempo. È interessante che molti politici dichiarino che il lavoro deve tornare al centro delle politiche economiche e sociali. Tuttavia, dietro molte frasi di circostanza, si ha l’impressione ci sia molta confusione e un  vuoto di concretezza.

foto cofferati 1Sergio Cofferati. Dire che il lavoro deve essere il baricentro delle politiche significa intanto ammettere che da molti anni non lo è più. Né in Italia né in Europa. Da quando il dominio finanziario dell’economia ha relegato il lavoro e i livelli di occupazione a conseguenza delle politiche di aiuto alle imprese, un effetto derivato dalle dinamiche economiche del libero mercato. La cosa brutta è che l’entusiasmo liberista della globalizzazione ha contagiato molti, anche a sinistra. Lo stato (gli stati) al massimo sono intervenuti per ammortizzare le perdite di lavoro dovute alle crisi e alle chiusure di alcune attività produttive e di servizio. E, in certi casi, a promuovere le cosiddette “politiche attive del lavoro”. Politiche che, quando davvero sono attive (“cosa rara!”), riducono le distanze tra la domanda e l’offerta di lavoro che ci sono già, non ne modificano le dinamiche.

G.S. Lubrificano un motore che comunque non ha il numero di giri sufficienti per tirare il carro dello sviluppo. Siamo arrivati addirittura al “reddito di cittadinanza”, senza che nessuno si mettesse di traverso. Un reddito d’emergenza e di inclusione è necessario e urgente, ma se questo pretende di sostituire il lavoro è segno che qualcosa non funziona: non siamo una “Repubblica fondata sui sussidi”. E non investire sulle competenze dei giovani è uno sperpero inconcepibile.

S.C. Di questo invece si tratta, di invertire le tendenze a non creare lavoro e non investire sulle competenze: ricominciare a pensare che il lavoro realizza la persona e la massima occupazione aumenta il potenziale di un Paese. Il lavoro non è un residuo è l’obiettivo principale. Sulla sua qualità, sul suo valore aggiunto si gioca anche la capacità competitiva di un Paese o di un continente come il nostro.

G.S. Il lavoro è diventato un optional, uno “scarto” - dice Papa Francesco - e non il percorso per accrescere la “dignità” delle persone e dare, ai giovani, alle donne una piena cittadinanza. Tra l’altro, l’esperienza di lavoro, assieme alla scuola, è il passaggio che consente anche una vera integrazione (con pienezza di diritti e doveri) della popolazione immigrata.

S.C. La politica europea, dopo la crisi del 2008, rendeva difficile avviare un cambiamento radicale delle politiche economiche, perché l’UE ha impedito ai Paesi membri di attuare investimenti di rilancio della domanda e del lavoro. Ora che le risorse comunitarie ci sono, che debbano essere impiegate senza porsi l’obiettivo esplicito di accrescere l’occupazione in quantità e qualità è un non senso economico e sociale. Una perdita di pensiero strategico, anche a sinistra, imperdonabile. Certo non si tratta di inventare attività e posti di lavoro qualunque, a prescindere, privi di finalità economiche e sociali. Bensì di corrispondere servizi ai nuovi bisogni emersi nelle nostre comunità e accentuati dalla pandemia: un nuovo benessere basato su sanità, istruzione, trasporti, assistenza secondo un principio di prossimità e di maggior riguardo alla popolazione più fragile: vecchi e bambini.      

G.S. Noi di Nuove Ri-Generazioni abbiamo coniato lo slogan dei “2 Welfare”. Il Welfare o benessere delle persone e il Welfare del territorio. Anche lì, basta agire sempre e solo dal lato dell’emergenza! Bisogna programmare una manutenzione ordinaria pluriennale per ridurre i rischi idrogeologici, ambientali, sismici dei nostri territori in modo da prevenirne i guasti e l’impoverimento. Anche questo è lavoro in più. Si potrebbe dire in sintesi che è necessario investire sulle persone e sul patrimonio naturale. Anche qui verrebbe da richiamare il pensiero di Papa Francesco in materia, a partire dalla Enciclica “Laudato si’”.

S.C. Bisogna essere consapevoli però che questa svolta delle politiche economiche non verrà da sola. Non verrà dalla politica o dalle istituzioni di Governo senza che vi sia una pressione della società civile a richiederla. La cittadinanza attiva, l’associazionismo, le organizzazioni di rappresentanza sociale hanno oggi un compito storico: farsi carico del “bene comune” e promuovere politiche che riducano le disuguaglianze a beneficio delle persone e del Paese.

G.S. Mi verrebbe da dire che, come nel dopoguerra, ci si dovrebbe dotare di un nuovo disegno strategico per influire di più sulle politiche economiche che vengono indicate (spesso senza confronto con la società, come accaduto per il PNRR). In sintesi direi che  è necessario un nuovo Piano del Lavoro da concertare con imprese e istituzioni. Siamo forse alla vigilia di un periodo di impoverimento generale, non ha senso il governo del giorno per giorno. Gli obiettivi di miglioramento del benessere sociale (“equo e sostenibile”, come si dice) devono tornare a essere il motore dello sviluppo e non un suo derivato occasionale.

S.C. Tra l’altro, se crescono i livelli occupazionali (soprattutto per giovani e donne) e cala l’ “esercito industriale di riserva” come diceva Marx, sarà più facile contrattare e migliorare le condizioni concrete di lavoro (sia per le attività tradizionali che per i nuovi lavori che stanno nascendo) e  ridurre le diseguaglianze che si stanno ampliando anche tra i lavoratori dipendenti: riguardo la durata dei contratti, la loro forma, le retribuzioni, gli orari, i diritti. A partire dalla inaccettabile crescita dell’insicurezza e delle morti sul lavoro. Anche questo tema che era dato per residuale è tornato drammaticamente di attualità e merita di essere un obiettivo (il primo) della contrattazione delle condizioni di lavoro nei settori e nelle aziende.        

G.S. Un’altra priorità che io porrei esplicitamente alle imprese e al governo - date le dinamiche di recente tracciate dall’Istat in termini di perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni -  è quello della crescita salariale. Anche come volano di ripresa dei consumi e quindi della domanda interna.

S.C. Se il Governo vuole facilitare il recupero del potere d’acquisto delle retribuzioni con risorse pubbliche, dovrebbe agire sulla principale leva di sua specifica competenza che in questo caso è la riduzione del prelievo fiscale sulle retribuzioni: il “cuneo”, cioè la distanza tra retribuzioni lorde e nette. Senza inventarsi nuove forme di incentivi indiretti alle imprese.

G.S. In modo da consentire, in una stagione certamente difficile, che la contrattazione nazionale e aziendale possa svolgere di nuovo il ruolo di tutela delle retribuzioni del lavoro che è il primo mattone della tutela dei diritti. Anche quella della crescita delle retribuzioni non è una politica velleitaria. Il recente contratto nazionale degli edili dimostra che anche le imprese sono sensibili e disponibili a sperimentare miglioramenti retributivi significativi per i lavoratori.

S.C. Bene: oggi è la festa del lavoro, ma da domani è necessario rimboccarsi tutti le maniche. Viviamo momenti incerti e difficili, non c’è tempo da perdere per difendere le priorità di una convivenza civile e di una cittadinanza inclusiva. Auguri di un buon Primo Maggio.

Per la Redazione - Serena Moriondo