contattaci2
Chiamaci: 06 441 146 25
Scrivici una e-mail
area riservatacerca
cercaarea riservata
logo rigenerazioni NEWS 800x100 trasparente

Foto peter burdonunsplashdi Serena Moriondo

Il termine meteorologia risale a μετεωρολογικά , il titolo del libro scritto da Aristotele intorno al 340 a.C. che presentava osservazioni sull'origine dei fenomeni atimosferici e celesti. Ma sin dall'antichità meterologia e astrologia procedettero insieme, perchè entrambe erano forme di divinazione del futuro.

Oggi giorno la scienza non ha raggiunto il potere della divinazione ma è in grado di fare delle osservazioni molto attendibili tanto da metterci di fronte alla cruda realtà delle cose, a dirlo Luca Mercalli, già Presidente della Societrà di meterologia italiana: "È ora di assumere una posizione di emergenza e di terapia d'urto della patologia climatica: mancano meno di una decina d'anni per invertire il corso delle emissioni globali, che ci stanno portando verso un potenziale aumento a fine secolo di 4-5 gradi, con livello marino più alto di circa un metro: un pianeta ostile alle giovani generazioni, le uniche a tentare peraltro una sommessa protesta".

I valori di pioggia, temperatura e umidità sono tutti fuori media. Per prepararci allo stato di emergenza serve capire sia da dove viene l’attuale crisi idrica sia come prevenirne gli impatti, in qualsiasi situazione. Jacopo Mengarelli, che collabora al progetto "Ok!Clima: il clima si tocca con mano", per corsi di formazionentrambe ere rivolti a giornalisti, ricercatori e docenti, su Scienza in rete ci spiega che "Non c’è più acqua. O quasi. L’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po sta registrando la crisi idrica peggiore degli ultimi 70 anni. In particolare: La neve sulle Alpi è totalmente esaurita in Piemonte e Lombardia; i laghi, a partire dal Lago Maggiore, sono ai minimi storici del periodo (eccetto il Garda); la temperatura è più alta fino a due gradi sopra la media; la produzione di energie elettrica è in stallo; le colture, nonostante l’avvio tardivo di 15 giorni della pratica dell’irrigazione (esempio in Lombardia), sono tutt’ora in sofferenza; così come si accentua, con inevitabili danni ambientali a biodiversità e habitat, la risalita del cuneo salino a oltre 10 km dalla Costa Adriatica e con un utilizzo all’80% a 15 km dal mare. (...) Gli scenari di cambiamento climatico per il decennio 2041-2050 nella regione Mediterranea prevedono ulteriormente in aumento l’estensione delle zone secche in Italia, determinando un incremento diretto dell’evapotraspirazione potenziale e del fabbisogno idrico sia della vegetazione naturale sia delle colture agrarie. L’effetto combinato delle variazioni delle temperature e delle precipitazioni porterà ad un incremento delle condizioni di aridità su quasi tutto il territorio nazionale.
Risulta quindi evidente che per minimizzare il rischio di siccità ancora peggiori bisogna perseguire gli obiettivi di decarbonizzazione indicati dall’IPCC, liberandosi il prima possibile dei combustibili fossili e cioè convertendo la nostra economia verso un sistema a bassissimo impatto ecologico. Ma la sola mitigazione non basta, serve anche accelerare con l’adattamento."

Fondere l’adattamento economico, ambientale e sociale. È quanto suggerisce il progetto “Life Desert-Adapt - preparare le aree a rischio desertificazione all'incremento dei cambiamenti climatici” per la regione mediterranea, dallo stesso rapporto SNPA che  illustra una serie di esempi e buone pratiche da mettere in campo per adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici. L’Italia possiede al riguardo una Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e un analogo Piano nazionale di adattamento, quest’ultimo ancora in attesa della Valutazione Ambientale Strategica.

La materia non è mai stata oggetto di contrattazione locale da parte del Sindacato ma oggi è necessario che tutti si occupino del tema e mettano in campo azioni conseguenti.

Per quanto riguarda l’ambiente urbano, la sfida all’adattamento ai cambiamenti climatici ha importanti risvolti. In Italia, a differenza di quanto previsto a livello nazionale, non vi è ancora una disciplina cogente per guidare l’adattamento nelle nostre città. Tuttavia ciò non ostacola il sorgere e la diffusione di numerose iniziative da parte di un crescente numero di realtà locali che spesso si inseriscono in iniziative di respiro internazionale.

Tra queste ultime si citano il Patto dei Sindaci o il Patto dei Sindaci per il Clima e l’Energia, cui aderiscono più di 10 mila amministrazioni locali, rappresentative di circa 319 milioni di cittadini, o la rete C40, il network mondiale delle città per la lotta ai cambiamenti climatici che vede attualmente la partecipazione di Roma, Milano e Venezia per l’Italia. Tra gli interventi previsti: piste ciclabili, tetti verdi e pianificazione degli spazi permeabili per prevenire il rischio inondazione e allagamento. Corridoi verdi per mitigare l’impatto delle ondate di calore.

Il Patto dei Sindaci in Italia ha riscosso particolare successo. Si tratta di un programma volontario lanciato nel 2008 che mira a ridurre le emissioni climalteranti a livello comunale, superando gli obiettivi assunti a livello continentale e che dal 2013 (proprio grazie a quanto previsto dalla Strategia Europea di Adattamento) include anche il tema dell’adattamento. La sottoscrizione del Patto dei Sindaci prevede la realizzazione di un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (PAESC). In base agli
obiettivi selezionati, questo può comprendere anche una sezione sull’adattamento rendendo di fatto il PAESC un vero e proprio piano per l’adattamento a livello comunale. L’Italia rappresenta il Paese con la maggiore partecipazione al Patto dei Sindaci:  su 11.324 a livello europeo ben 5077 sono i Comuni italiani (dato 2022). Questi rappresentano il 64% di tutti i Comuni italiani (nel 2020 erano il 41%). Tra i Comuni italiani aderenti al patto, 719 nel 2022 (oltre aver selezionato anche gli obiettivi di adattamento) hanno presentato un Piano d'Azione. Per saperne di più sul tuo Comune clicca qui.

Gli insegnamenti da tali esperienze evidenziano che per ridurre rischio e vulnerabilità ai cambiamenti climatici nelle aree urbane molte azioni efficaci si possono intraprendere da subito e con costi molto limitati che porteranno a dei vantaggi evidenti:

  • prima tra tutte un’applicazione estesa del principio di precauzione, evitando di urbanizzare aree potenzialmente a rischio dissesto e tutelando gli spazi liberi e le aree verdi (parchi, giardini, aree naturali protette, ecc.) soprattutto se ubicati in aree vulnerabili (fiumi, coste, etc.);
  • investire risorse nell’adattamento climatico non è “solo azione ambientale”, ma coincide con il promuovere la qualità della vita e quindi della salute dei cittadini e la sostenibilità dello sviluppo. Le visioni di lungo periodo hanno un ruolo fondamentale queste devono però essere supportate da strumenti conoscitivi adeguati. Da un lato è necessario uno sforzo da parte della comunità scientifica, che si sta adeguando in questo senso, per rendere via via più accessibile tale conoscenza agli amministratori, dall’altra parte è necessario investire risorse adeguate per costruire le premesse scientifiche, amministrative, sociali ed economiche necessarie al cambiamento verso una comunità consapevole a partire dalle scuole;
  •  è indispensabile individuare le principali vulnerabilità ai cambiamenti climatici delle aree territoriali di riferimento; individuare obiettivi, azioni di adattamento e priorità di intervento; elaborare strategie per il governo dell’adattamento nelle aree urbane in stretta collaborazione con le amministrazioni locali.

 Link: ANALISI_DI_VULNERABILITA_NELLA_CM_DI_CAGLIARI.pdf

Foto di Peter Burdon per Unsplash