di Serena Moriondo
Il 6 luglio il Parlamento Europeo ha ceduto alle lobby delle fonti fossili e gli eurodeputati hanno votato includendo gas e nucleare tra le fonti energetiche sostenibili previste nel regolamento sulla tassonomia degli investimenti verdi. Un duro colpo al Green Deal Europeo e ad un’ambiziosa politica climatica in linea con l’obiettivo di Parigi di 1.5°C, indispensabile per fronteggiare l’emergenza climatica.
Legambiente ha dichiarato che si tratta di una scelta politica senza alcuna base scientifica, che rischia di aggravare ulteriormente la crisi climatica in atto e che va nella direzione opposta a quella della riconversione ecologica.
La proposta, infatti, è stata adottata nonostante il parere fortemente contrario della Piattaforma sulla Finanza Sostenibile (PFS), ossia del gruppo di esperti indipendenti nominati dalla stessa Commissione per il supporto scientifico necessario alla redazione dell'Atto Delegato Complementare per l’attuazione del regolamento sulla tassonomia. La PFS nelle sue raccomandazioni ha evidenziato che il nucleare va escluso in quanto non rispetta i criteri (previsti dall’articolo 17 del regolamento sulla tassonomia) relativi al principio sul non arrecare danni significativi all’ambiente, in particolare per quanto riguarda la gestione e lo smaltimento delle scorie radioattive (per approfondimenti vedi l'articolo "ENERGIA E RIFIUTI NUCLEARI: UN PROBLEMA CHE RIGUARDA TUTTI" che abbiamo pubblicato sul nostro sito il 21.03.2022).
L’esclusione del gas fossile, invece, è motivata dal fatto che gli impianti a gas per poter fornire un contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici, come richiesto dal regolamento, devono emettere meno di 100 gr CO2e/kWh, mentre gli impianti più efficienti a disposizione emettono non meno di 316 gr CO2e/kWh.
In linea con il parere scientifico del PFS, anche l’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), oltre 370 tra i maggiori investitori internazionali con un portafoglio di 50mila miliardi di euro, chiede di escludere il gas fossile dal regolamento sulla tassonomia, in quanto “si indirizzerebbero capitali verso attività non compatibili con l’impegno UE verso la neutralità climatica entro il 2050”.
C'è ancora un'alternativa? La risposta è sì:
- I governi di Austria e Lussemburgo hanno già annunciato la volontà di ricorrere contro la proposta della Commissione alla Corte di Giustizia e Legambiente ha intenzione di chiedere al Governo italiano di sostenerli per evitare che centinaia di miliardi di euro vengano sottratti alle fonti rinnovabili e si precluda la possibilità di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità.
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Per quanto riguarda il settore elettrico, secondo le recenti stime dell’autorevole think-tank Ember, l’Europa può raggiungere la neutralità climatica entro il 2035 quadruplicando la sua produzione rinnovabile ed espandendo l’infrastruttura elettrica necessaria con un risparmio di oltre 1000 miliardi di euro da qui al 2035 e nello stesso tempo garantire una maggiore sicurezza energetica ed una migliore qualità dell’aria che respiriamo. Sono però necessari investimenti iniziali per circa 300-750 miliardi di euro. Risorse che il mercato finanziario può mettere a disposizione più facilmente se si escludono gas fossile e nucleare dagli investimenti verdi.
- Per fronteggiare l’emergenza climatica – che ci tocca sempre più da vicino come dimostrano le ondate di calore e la siccità che hanno colpito duramente la nostra penisola – queste ingenti risorse finanziarie vanno invece investite non solo in rinnovabili ed efficienza energetica, ma anche in tutte quelle infrastrutture ambientali necessarie a difendere i nostri territori dai sempre più preoccupanti impatti climatici che rischiano di mettere in ginocchio molte attività economiche e minare la coesione sociale delle comunità in cui operano. Su questo punto è necessario un'assunzione di responsabilità chiara di Comuni, Città Metropolitane e Regioni e un maggior protagonismo dei cittadini.
E, nel medio-lungo periodo, un'alleanza tra mondo produttivo e del lavoro con la ricerca scientifica per trasformare il modello economico in chiave decarbonizzazione e green.
Per ora, seppur senza il coinvolgimento dei rappresentanti del mondo del lavoro, è nata recentemente la Regenerative Society Foundation co-presieduta dall'imprenditore Andrea Illy e dall'economista Jeffrey Sachs. Hanno partecipato alla Fondazione un gruppo di imprenditori italiani (tra cui Davide Bollati, Paola Chiesi, Francesco Mutti) convinti che il settore privato sia il vero motore del cambiamento, l'unico ad avere la massa critica per accellerare e attuare la transizione ecologica. La Fondazione - secondo gli organizzatori - è nata per supportare le aziende nell'implementazione dei progetti rigenerativi e per ottenere maggiore impatto possibile in termini di circolarità, servizi ecosistemi e benessere. Tra i servizi forniti alle imprese anche un Regenerative Index che serve per misurare gli avanzamenti e monitorare i risultati ottenuti nel tempo. Questa iniziativa, sostengono i promotori della Fondazione, è in linea con la scelta fatta cinquant'anni fa dagli imprenditori del "Club di Roma" che, con il loro rivoluzionario trattato sui limiti dello sviluppo, hanno dato una scossa al mondo.
Un'intuizione felice è probabile, una pratica osservata complessivamente dagli imprenditori italiani decisamente meno. Diversamente non si comprenderebbe perchè solo nel quinquennio 2015-2019, 432 mila le imprese italiane dell’industria e dei servizi si sono decise ad investire in prodotti e tecnologie green. In pratica quasi una su tre, cioè il 31,2% dell’intera imprenditoria extra-agricola (nel quinquennio precedente erano il 24% del totale) (Fonte Nota integrativa a Legge Bilancio per l'anno 2022 e per il triennio 2022-2024 del Ministero della transizione ecologica).