di Serena Moriondo
“Un giorno – ha raccontato la giovane scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie - stavo discutendo di genere quando un uomo mi ha detto: “Perché parli di te in quanto donna? E non in quanto essere umano?” Sono un essere umano, certo, ma ci sono cose che mi succedono perché sono una donna.”
La violenza contro le donne e le ragazze è una di quelle cose, una delle violazioni dei diritti umani più sistematiche e diffuse in tutte le società e in ogni tempo.
L’analisi dei dati delle forze di polizia a livello nazionale, contenuta nel report “Il pregiudizio e la violenza contro le donne” elaborato dalla Direzione centrale della polizia criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, per il terzo anno consecutivo, evidenzia nei primi mesi del 2022 i reati introdotti dal cosiddetto Codice rosso (Legge n.69 del 19 luglio 2019), esaminati rispetto all’analogo periodo del 2021, avendo anche riguardo alla loro diffusione in ambito regionale: crescono le violazioni dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla "persona offesa" (+12%) e le lesioni con deformazioni o sfregio permanente al viso (+17%), diminuiscono i reati di costrizione o induzione al matrimonio (-53%) e il revenge porn ovvero la violenza sessuale digitale una delle più grandi violenze contemporanee che vengono perpetrate ogni giorno principalmente ai danni delle donne(-20%).
Ma i femminicidi seppure in diminuzione, nei primi 9 mesi dell’anno, non si arrestano nonostante un potenziamento dell’azione di prevenzione con un aumento del 40% degli ammonimenti dei Questori per violenza domestica e del 6% di quelli per stalking, mentre sostanzialmente stabile è il numero dei provvedimenti di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. Il numero di violenze sessuali è addirittura cresciuto: le denunce sono state 4.416 (+9% rispetto al 2021) e nel 92% dei casi ha coinvolto donne.
Ogni nuova violenza di genere, ogni nuovo femminicidio racconta una parte della cultura italiana. La violenza nel nostro Paese è spesso giustificata da toni romantici o sessualizzanti. In sostanza, il racconto della violenza ha una direzione che parte dal fatto e tende verso la giustificazione del reato. Il colpevole è messo in secondo piano rispetto all’azione della vittima che l’aveva lasciato o tradito, che voleva il divorzio o si era rifatta una vita. La "deresponsabilizzazione del carnefice" avviene attraverso la romanticizzazione del gesto. Così le donne muoiono di troppo amore e gli uomini sono giustificati da raptus di gelosia o da “stanchezza emotiva”.
Siamo tutti esseri sociali. Interiorizziamo idee che derivano dalla società e dall’epoca in cui viviamo. Per questo il 25 Novembre non dovrebbe essere considerata una semplice ricorrenza ma un momento centrale in cui rilanciare gli obiettivi di fermare e stroncare questa violenza anche nel nostro Paese, di riflettere, proporre, individuare e mettere in campo azioni mirate per sconfiggere ogni forma di violenza, anche la più devastante come il femminicidio.
Nei decenni abbiamo dedicato pensieri, proposte, lotte contro la violenza maschile nelle relazioni personali e in famiglia, nei luoghi di lavoro, nei servizi pubblici e nei tribunali. Il sessismo, gli stereotipi, la svalorizzazione e l’emarginazione delle donne e dei diritti da esse duramente conquistati, sono tutte manifestazioni di una violenza strutturale che nasce e rimanda a una differenza di potere tra uomini e donne che è sempre e solo la rappresentazione di una società misogina e neopatriarcale.
E’ con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dalla politica, dal mondo del lavoro, dai dibattiti e dalle notizie. Michela Murgia, nel libro “Stai zitta”( Einaudi editore, 2021) scrive: “Il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità di essere pienamente noi stesse. Per ogni dislivello di diritti che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. Accade ogni volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca o architetta” ma succede anche quando una donna rimane indifferente a tutto questo e sceglie di farsi chiamare “Presidente” o peggio “Signor Presidente” senza l’articolo determinativo davanti che la identifica come donna.
Sono, infatti, molte le donne che di fronte a frasi sbagliate o fuori luogo, o addirittura di fronte ad attenzione che non volevamo sollecitare preferiscono “tirare dritto”, insomma non farne un dramma ma – si chiede con ragione la scrittrice – “se il dramma fosse proprio continuare a tirare dritto? (..) di fronte a ogni comportamento molesto ci intimano di essere superiori, sorridere, abbozzare e non opporre resistenza, perché tanto è una battaglia persa. L’idea che sia impossibile reagire è diffusissima e la si può capire, perché le energie che servono per ribellarsi all’essere considerate un bersaglio mobile delle esternazioni maschili sono troppe, dato che troppe sono ancora le azioni a cui bisognerebbe reagire.”
Ma, soprattutto, “l’equivoco che contrappone la desiderabilità passiva femminile al desiderio attivo maschile rivela il vero problema della cultura patriarcale, che è quello dell’inutilità del consenso” da parte delle donne. “Questo impianto di pensiero ha un nome: si chiama “cultura dello stupro” e ha conseguenze quotidiane che fatichiamo ancora a riconoscere come violenza” finché non si trasforma in ferite, fratture e lividi o in femminicidio.
Nella cultura dello stupro sia gli uomini sia le donne assumono che la violenza sessuale, il possesso e il controllo dell’uomo sulla donna sia un fatto della vita. E, nelle società dove il consenso è considerato implicito al punto che chiederlo non è necessario, il rifiuto risulta incomprensibile.
Il pregiudizio, poi, “che sia la maschilità il parametro per definire l’eccellenza è così diffuso che molte donne pensano che la soluzione per non essere sottovalutate sia effettivamente quella di comportarsi come farebbe un uomo.” Ma per essere accolte e rispettate non è necessario né giusto passare attraverso un processo di assimilazione all’idea sociale del maschile.
Esiste un altro modo di guardare e di essere viste (e visti), ad essere considerate e apprezzate, è quello sguardo che va educato, ma non sorgerà mai se non cominciamo a pretenderlo.
Ed è urgente - come ha dichiarato l'UDI (Unione Donne Italiane) - che tavoli per rendere operativa la legge sulle statistiche di genere contro la violenza alle donne attivati dal Dipartimento Pari Opportunità e dall’ISTAT (un'altra conquista della lotta delle donne!) siano immediatamente riconvocati per conoscere la situazione integrata in tempo reale sulla violenza, così come è necessaria la riconvocazione dell’Osservatorio nazionale per fare finalmente, dopo un anno, il Piano operativo previsto nel 2021 dal Piano strategico del Governo che è rimasto lettera morta.
Link: A chi rivolgerci in caso di emergenza
Link: Piano strategico delle donne delle Nazioni Unite 2022-2025
Per la Redazione - Serena Moriondo