della Presidente dell'Associazione Nuove Ri-Generazioni, Rossella Muroni
Ogni giorno calpestiamo un vero e proprio tesoro, il suolo. Siamo abituati a darlo per scontato e non sappiamo quanto esso sia prezioso. Il suolo svolge un ruolo fondamentale per gli esseri umani perché fornisce servizi ecosistemici indispensabili: produce cibo, è riserva di biodiversità, regola i flussi idrici, cattura la CO2, rappresenta un valore culturale custodendo in sé storia e paesaggio. Quasi il 95% della produzione mondiale di cibo dipende dal suolo che custodisce il 25% della biodiversità mondiale. Eppure uno dei fenomeni di devastazione ambientale più evidenti e vilenti degli ultimi decenni è il suo consumo sistematico e rapido.
Ogni 24 ore ricopriamo la Penisola di cemento ed infrastrutture per l’equivalente di circa 30 campi di calcio. Il dato 2021 è il peggiore degli ultimi 10 anni in Italia, con circa 19 ettari al giorno. Scompare il suolo e tutte quelle funzioni così preziose per la nostra sopravvivenza e per la nostra sicurezza. Sì, perché il suolo impermeabilizzato è anche un suolo più fragile che perde la capacità di assorbimento ed in epoca di mutamenti climatici e bombe d’acqua questo vuol dire vittime e danni - lo abbiamo visto drammaticamente nelle Marche, a Messina, ad Ischia.
Una consapevolezza che tende purtroppo rapidamente a sbiadire dopo gli episodi estremi e che non ha ancora sedimentato nel nostro Paese politiche in grado di tutelare il ruolo fondamentale che la conservazione del suolo svolge non solo per la funzione produttiva agricola, ma anche per una corretta regolazione del ciclo dell'acqua, funzioni entrambe compromesse irrimediabilmente dalle trasformazioni urbanistiche.
Ogni giorno 3,5 milioni di italiani vivono e lavorano in zone dove è alto il rischio di frane e alluvioni e in due comuni su dieci si è fatto ancora peggio, realizzando in quelle aree ospedali e scuole. E in Italia abbiamo impermeabilizzato più del 7% del territorio nazionale, una percentuale quasi doppia rispetto alla media europea. Neppure il blocco di tante attività determinato dal covid-19 è riuscito ad arrestare il consumo di suolo. Come se ogni anno fosse spuntata dalla campagna una nuova città, con un territorio urbanizzato di 4.900 ettari, pari a quello di Bologna. Un trend preoccupante, soprattutto se consideriamo che nello stesso periodo la popolazione italiana è diminuita a una media di 102mila abitanti all’anno, la popolazione di un capoluogo di provincia delle dimensioni di Ancona o Piacenza.
Legambiente ha censito i fenomeni meteorologici estremi registrati in Italia nei primi dieci mesi del 2022: sono 254, in crescita del +27% rispetto al 2021, e le vittime di questi fenomeni negli ultimi 13 anni ben 279. La crisi climatica accelera e con essa la fragilità del nostro territorio. Per questo è urgente dare priorità al taglio delle emissioni serra, alla messa in sicurezza del Paese, a interventi per la mitigazione del rischio e l’adattamento al climate change, alla corretta gestione del territorio. Invece continuiamo ad essere l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima e non si vede all’orizzonte una legge a tutela del suolo. Come se non bastasse rincorrendo l’emergenza spediamo più di quanto faremmo, con ben maggiore efficacia, puntando sulla prevenzione. L’Ispra ha calcolato che, se non interveniamo, questo trend ci costerà tra gli 81 e i 99 miliardi di euro di danni tra il 2012 e il 2030, circa la metà del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Eppure l’Unione Europea ha già da tempo indicato come il suolo debba essere protetto in primo luogo dai fenomeni di impermeabilizzazione ed in quanto riserva di carbonio. Alcuni Stati membri hanno adottato interessanti misure di prevenzione: la Gran Bretagna, ad esempio, ha stabilito che almeno il 60 per cento delle nuove urbanizzazioni debba avvenire su aree dismesse (brownfield), mentre la Germania ha fissato un target decrescente di consumo che, partendo da una media di 30 ettari/giorno, dovrà giungere a zero al 2050. In Italia invece ben poco è stato fatto: il consumo di suolo continua a coprire irreversibilmente aree naturali e agricole con asfalto e cemento, edifici e fabbricati, strade e altre infrastrutture, insediamenti commerciali, produttivi e di servizio, anche attraverso l'espansione di aree urbane. In termini assoluti, il consumo di suolo ha intaccato ormai 23.039 chilometri quadrati del territorio nazionale. Colpa soprattutto del cosiddetto urban sprawl, caratterizzato dalla dispersione dell'edilizia abitativa, delle infrastrutture e degli stabilimenti produttivi in forma di «periferia diffusa» che si spalma sul territorio, dando origine a fenomeni insediativi fortemente impattanti sul suolo e privi di identità.
Si costruisce invece di coltivare. Si cementifica invece di produrre cibo. Si modificano paesaggi, anche celebri, modellati negli anni dagli agricoltori a beneficio del cemento. Paesaggi che, invece, potrebbero essere il volano di forme innovative di sviluppo territoriale, con riferimento a quell'offerta integrata di beni culturali, prodotti agroalimentari tipici e recettività turistica che rappresenta già oggi un'efficace alternativa economica in alcune realtà del nostro Paese.
Per tutti questi motivi il suolo dovrebbe essere considerato un «bene comune», una risorsa preziosa per il futuro alla quale dedicare la massima attenzione, un obiettivo che si può perseguire solo realizzando politiche urbanistiche, agricole e fiscali verso una strategia di tutela del suolo e del paesaggio. Insomma sono anni che noi ecologisti lo diciamo e torno a ribadirlo: serve con urgenza una legge contro il consumo di suolo, che sappia tutelare la nostra terra e promuovere attività che non lo compromettano oltre come l’agricoltura, specie quella libera dai pesticidi, e la rigenerazione urbana.