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Foto calo nascitedi Serena Moriondo

La fotografia pubblicata dall'ISTAT pochi giorni fa non lascia dubbi: siamo entrati in quello che gli esperti definiscono "inverno demografico". Nei prossimi tre decenni la fascia di popolazione tra i 15 e i 64 anni potrebbe scendere da 37,7 milioni a 28,9 milioni.

Questo significa, soprattutto, circa un milione di persone in meno tra i 15 e i 34 anni, che va ad accompagnarsi al fenomeno egualmente preoccupante dell’emigrazione: negli ultimi anni 1,8 milioni di italiani, nella stessa fascia di età, ha lasciato il Paese alla ricerca di un lavoro stabile o più remunerato in relazione al proprio titolo di studio. 

Come il clima del Pianeta è un equilibrio risultante dall'interazione di varie componenti, compresi i cambiamenti antropici cioè determinati dagli esseri umani, così saremo in grado di uscire dall'inverno demografico in cui ci troviamo se sapremo tenere conto di molte variabili in gioco che, in questo caso, dipendono interamente dalle nostre scelte. Se ipoteticamente questa tendenza dovesse invece continuare potrebbero essere altri 6 milioni da qui al 2052.

A preoccuparci dovrebbe essere la perdita non solo di milioni di competenze, contribuenti e forza lavoro, ma anche della soggettività politica che i giovani esprimono (se solo ci fosse qualcuno ad ascoltarli). È un vuoto che va ben oltre quello anagrafico: lo sforzo progettuale con cui la politica rende concreto il progresso di una società viene meno in assenza di una specifica fascia della popolazione, cioè proprio quella che dovrebbe esserne più interessata.

"Nel confronto con le generazioni precedenti i giovani del nuovo millennio si trovano con molte più opzioni ma anche con molta più incertezza sulle implicazioni delle proprie scelte”. Sono le parole del demografo Alessandro Rosina nella prefazione del Rapporto “Neet tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche, curato da ActionAid e CGIL. Un’indagine sui giovani che rimangono nel nostro Paese ma non studiano, non lavorano e non sono in formazione (Neet: not in education, employment or training) fatta di numeri aggiornati al 2020, ma anche di raccomandazioni al nuovo Governo e al Parlamento affinché orientino le politiche nazionali e territoriali a favore dei giovani. L’Italia è il Paese europeo con il più alto numero di Neet dai 15 ai 34 anni: nel 2020 sono più di tre milioni, con una prevalenza femminile di 1,7 milioni. Nel Sud c’è la più alta presenza di Neet: sono il 39%, rispetto al 23% del Centro Italia, al 20% del Nord-Ovest e al 18% del Nord-Est. Un fenomeno in crescita dal 2008.

Appiattiti su un misero presente, non siamo in grado di scorgere il profilo di un futuro possibile.  Teresa D'Errico, insegnante di un liceo scientifico di una città del Sud che sa ascoltare i suoi studenti e scrive per la testata giornalistica "Gli Stati Generali" (progetto di integrazione tra l’essenziale del giornalismo professionale di interesse pubblico e la ricchezza del giornalismo partecipativo, espresso dai saperi diffusi nella società ma spesso poco valorizzati dal sistema dei media), sostiene che: "La politica non va oltre un mediocre Rosatellum. La letteratura è solo documentaria (registra l’esistente) o introspettiva (non indaga il “fuori” e il “lontano”). La scuola è schiacciata dall’immediatezza del problem solving, dalla logica produttivistica del learning by doing e dalla fretta ansiogena di un piazzamento sul mercato del lavoro per studenti sfiniti da improbabili progetti di alternanza scuola-lavoro. I giovani vivono così in un orizzonte asfittico, fatto solo di presente o, peggio, gravato da un futuro che incombe e che non ha più la seduzione delle promesse, ma, piuttosto, si presenta come l’ombra di una minaccia."

I giovani, abbiamo cercato di illustrarlo in precedenti articoli (S.Moriondo "I giovani hanno occhi diversi: possiedono la capacità di scorgere altre prospettive" 9.07.2022 e  "Analfabetismo o nuove architetture mentali?" 31.08.2021) non pensano, non si esprimono, non guardano il mondo nello stesso modo di chi ha in mano il sistema Paese, di chi sta nelle Istituzioni, nella politica, nel sistema impreditoriale e sindacale, a livello religioso. 

L'Italia ha già perso l'occasione di dimostrare quest'anno, nell'Anno europeo per i giovani, di approvare importanti riforme sulla cittadinanza dedicate a loro (es.ius scholae e ius soli), ora non disponendo della loro voce e delle loro visioni, la progettualità politica potrà fare per loro le due sole scelte che conosce: mantenere quanto già esiste o cercare di migliorarlo. 

Il vuoto che non potrà riempire è quello delle idee nuove che i giovani porterebbero nel dibattito politico, insieme a quell’energia vitale, che permette la costruzione di un nuovo immaginario collettivo. Il vuoto sono, appunto, le loro utopie. 

Il giornalista G.Segre ha scritto recentemente un editoriale sul quotidiano Domani che descrive molto bene la necessità che i giovani diventino protagonisti di questo Paese: "La politica che non riesce più ad offrire utopie è semplicemente una politica che non è più in grado di offrire cambiamenti. Qualcosa di molto rischioso nella grave crisi sociale, politica e culturale in cui è precipitato il nostro mondo occidentale. Senza le utopie siamo disarmati di fronte alle sfide globali e interconnesse di oggi che fatichiamo a capire, e ancor meno a risolvere, con gli strumenti del passato. Lo stesso avanzamento tecnologico è così proiettato verso il futuro che nessuno riesce a immaginare lo stravolgimento che potrà causare alla vita sociale come la conosciamo. Ci potrebbe riuscire, forse, quella generazione che immagina la potenza di questo cambiamento fin dalla nascita. Solo loro potrebbero essere in grado di governarlo con soluzioni a noi oggi inconcepibili e compito urgente della politica è di chiedergli aiuto trasformandoli nuovamente in soggetti attivi. Possibilmente prima di scoprire che se ne sono già andati via tutti."

Non dimentichiamo, dunque, che la risoluzione delle Nazioni Unite del 25 settembre 2015 intitolata "Trasformare il nostro mondo: l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile" ha riconosciuto il ruolo essenziale dei giovani come attori del cambiamento sulla scena internazionale e ha affermato che i giovani devono essere sostenuti "per incanalare le loro infinite capacità di attivismo nella creazione di un mondo migliore".