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Foto Vittorio Cogliani Dezzadi Vittorio Cogliati Dezza – Forum Disuguaglianze e Diversità

A Chicago il 12 luglio del 1995 la temperatura percepita raggiunge 52 gradi. In quel giorno la città batte ogni record per il consumo di energia, con blackout continui per più giorni in più di 200 mila case. L’ondata di calore uccide 739 persone, in misura nettamente superiore nei quartieri poveri e con forte discriminazione razziale. Avere un condizionatore funzionante ha ridotto sensibilmente il rischio di morte.

Nel 2002 il sociologo statunitense Eric Klinenberg, esperto di relazioni tra condizioni socio-abitative e fenomeni climatici estremi, pubblica uno studio in cui rileva che quartieri poveri, con le stesse caratteristiche sociali e razziali, hanno avuto percentuali di decessi molto diverse: decisamente inferiori là dove il quartiere godeva di una buona “ricchezza comune”. Avere a disposizione infrastrutture sociali di prossimità, spazi comuni animati, dove c’è qualcuno che ha il compito di renderli vivi e frequentati (giardini pubblici, biblioteche, centri di ricreazione, società sportive, piazze), ha significato, in termini di riduzione del rischio, quanto essere dotati di un condizionatore. «Questo è accaduto per due ragioni – ricorda Giovanni Carrosio, professore di Sociologia dell’ambiente a Trieste, anche lui membro attivo del Forum -, perché gli spazi comuni possono essere luoghi dove si compensano le mancanze della singola abitazione (ci sono luoghi da frequentare dove le persone possono fruire di servizi energetici comuni), ma anche perché avere spazi comuni è la precondizione per possedere un proprio capitale relazionale e quindi una rete di sostegno (se cado nella mia abitazione e per diverse ore non mi relaziono con nessuno qualcuno se ne accorge e mi reclama)».

Non è questo forse la stessa esperienza che abbiamo fatto nei primi mesi della pandemia, quando abbiamo riscoperto il valore del negozio di vicinato, della medicina di territorio, delle relazioni di prossimità, che facilitano mutualismo e solidarietà tra le persone?

La lezione che ne ricaviamo è che combattere l’isolamento nelle periferie è parte integrante dei processi di rigenerazione urbana. La ragione sta nel fatto che oggi la coesione sociale è un bene raro, messo in crisi dall’esplosione delle disuguaglianze e dal loro insinuarsi in tutte le dimensioni del vivere sociale.

E’ quanto il Forum Disuguaglianze e Diversità sta scientificamente argomentando in questi anni: le disuguaglianze, che creano divari tra generazioni, tra donne e uomini, tra territori, tra livelli di formazione, non sono solo di reddito, ma sono economiche (reddito, ricchezza privata, lavoro), sociali (accesso e qualità dei servizi, ricchezza comune, qualità dei luoghi, cittadinanza), di riconoscimento (nell’immaginario collettivo come nelle aspirazioni della persona) tanto che nascere in territori marginalizzati è per lo più uno stigma che ci si porta dietro e produce o rassegnazione o rancore, e la sensazione diffusa di impotenza a cambiare.

E non mancano esperienze di riqualificazione fisica dei luoghi e delle abitazioni che non hanno innestato processi di rigenerazione ed emancipazione sociale.

Serve “riempire” le periferie di qualità e ben vivere, che passa certamente attraverso la dignità del lavoro e della casa, ma anche attraverso la valorizzazione di quei luoghi: costruzione di nuova bellezza, perché la bellezza cambia l’immaginario collettivo e personale, migliora la percezione di sé e del proprio quartiere; accesso a servizi di qualità (sociali, sanitari, culturali, di istruzione); salubrità dell’ambiente; spazi di socializzazione e vita in comune; libertà di muoversi in modo sostenibile; messa in sicurezza dal sempre più impellente rischio climatico...

Insomma la rigenerazione passa da quell’insieme di fattori di giustizia ambientale e sociale che costituiscono il patrimonio di ricchezza comune che migliora la vita delle persone nel proprio quartiere, mobilitando tutte le risorse umane, sociali, culturali, produttive, amministrative.

La rigenerazione di un territorio ha bisogno di una visione e di una strategia non può che essere sistemica ed insieme attenta alle particolarità dei luoghi. È questa la grande sfida della Giusta Transizione, che non è solo un processo tecnologico, ma sociale e antropologico insieme.

* in homepage Opera di Fernand Léger (1881-1955) "Il piacere del tempo libero". Il pittore francese era attratto dal dinamismo dello sviluppo urbano e dall'esistenza umana nella società industriale.