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Foto Raniero Maggini Cittadinanzaattivadi Raniero Maggini -  referente politiche “Ambiente e territorio” di Cittadinanzattiva

Troviamo nel sito della Treccani la definizione di “rigenerazione urbana” come “Locuzione che, traducendo l’inglese urban regeneration, designa i programmi di recupero e riqualificazione del patrimonio immobiliare alla scala urbana che puntano a garantire qualità e sicurezza dell’abitare sia dal punto di vista sociale sia ambientale, in particolare nelle periferie più degradate. Si tratta di interventi che, rivolgendosi al patrimonio edilizio preesistente, limitano il consumo di territorio salvaguardando il paesaggio e l’ambiente; attenti alla sostenibilità, tali progetti si differenziano sostanzialmente da quelli di urban renewal, o «rinnovamento urbano», spesso rivelatisi interventi prevalentemente di demolizione e ricostruzione, a carattere più o meno apertamente speculativo...

La rigenerazione urbana è divenuta oggetto di un importante dibattito anche nel nostro Paese, nonché destinataria di importanti risorse previste dal PNRR e dagli altri strumenti di programmazione comunitaria e nazionale, a beneficio di realtà diverse, di forme di insediamento diverse. “Rigenerazione” che significa anche capacità di visione per le aree colpite da catastrofi naturali e per le quali occorre immaginarne il futuro.

Anche con Community PRO (Participation Resilience Organizing), progetto realizzato con il finanziamento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Cittadinanzattiva ha raccolto numerose segnalazioni da parte dei cittadini, riguardanti l’esigenza di dare nuova forma alla lettura urbanistica dei luoghi al fine di tentare migliori risposte ai bisogni delle comunità. Una declinazione che richiede una maggiore attenzione alla dimensione sociale della rigenerazione (anche per garantirne concreta efficacia), a partire dalle aree e dagli immobili abbandonati, ai vuoti urbani che rischiano di divenire fonte di degrado. E se, proprio con Community PRO, un’istanza dei partecipanti ai Laboratori di progettazione ha condotto all’organizzazione di una passeggiata nella zona 8 di Milano attraverso i “Vuoti della Città, sulle tracce della rigenerazione sociale”, frequente da parte di chi aderisce al progetto, è la proposta di “riusare” spazi pubblici o privati per rispondere alle esigenze attuali.

Tra gli immobili pubblici portati ad esempio per tentarne nuove forme di utilizzo sono le scuole, soprattutto dove la piaga dello spopolamento non consente di mantenerne aperti i cancelli o già solo perché oggi la struttura risulta del tutto sovradimensionata al numero degli studenti (un costo non facilmente sostenibile per le esigue casse degli Enti locali delle aree interne del Paese, dei piccoli comuni montani, comunità composte spesso da poche centinaia di abitanti, talvolta meno).

Un circuito perverso, quello determinato dallo spopolamento, che genera meno risorse e non favorisce condizioni abilitanti la crescita della comunità o perlomeno la stabilità della stessa, per cui diviene difficile aver garantita la disponibilità di una scuola per i bambini, sebbene questa sia una delle valutazioni prioritarie che le giovani famiglie si trovano ad affrontare per scegliere se restare (o magari trasferirsi in questi luoghi).

Una storia che val la pena raccontare a proposito di nuove forme di utilizzo degli edifici scolastici è la sperimentazione che Cittadinanzattiva con YOUrbanMOB (Associazione impegnata nella promozione dei processi partecipativi) realizzò tra il 2017 e il 2019, d’intesa con l’Amministrazione locale, a Calascio (AQ), circa 130 abitanti, conosciuto dai più per la sua imponente Rocca.

Al fine di valorizzare le potenzialità che Calascio può offrire ad un visitatore curioso venne allestito un Info Point presso la Ex Scuola Primaria. Una scelta che si rivelò vincente, perchè consentì di contattare migliaia di persone, di fornire informazioni sul patrimonio culturale del Comune e più in generale sul territorio circostante.

L’Ex Scuola Primaria non fu tuttavia utilizzata esclusivamente ai fini dell’informazione e dell’accoglienza, fu anche teatro dello svolgimento di iniziative diverse promosse dalla comunità.

Ovviamente la presenza costante degli operatori dell’Info Point (giovani e giovanissimi del luogo), gli interventi di miglioria strutturale apportati alla scuola all’avvio del progetto, la costante manutenzione e la pulizia operate durante le giornate di attività, facilitarono l’uso dell’immobile e il buon esito delle iniziative medesime.

Una storia a lieto fine che vide proprio in piena pandemia la costituzione di una Cooperativa di comunità sulla scia della sperimentazione svolta.

La proposta di immaginare la Scuola e il ruolo che svolge oltre la dimensione tradizionale di questa importante istituzione, già da tempo si ritrova nelle voci che si levano tra le organizzazioni del Terzo Settore per chiedere la costruzione di patti educativi territoriali al fine di coordinare l’offerta scolastica curriculare con quella extracurriculare, mantenendo le scuole aperte tutto il giorno.

Un vero e proprio presidio per il territorio, punto di riferimento per tutta la comunità, una rigenerazione culturale ancorché sociale, che non si ponga la prospettiva di salvare il salvabile, ma di rafforzare la Scuola come spazio per rinnovare la comunità, un luogo che svolga una funzione educativa a tutto tondo, non solo volta ai più giovani.