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FOTO d1gllts c914de5e be29 43c5 bcfe af839022bf93di Serena Moriondo

Le iraniane lottano contro il chador, le afghane - bandite anche dai lavori umanitari - cercano di liberarsi dal burqua, le saudite e altre donne del Golfo lottano per sottrarsi al velo integrale, il niqab o il grande mantello rigidamente nero, l’ahaya. Le palestinesi devono difendere la loro laicità contro l’integralismo di Hamas e il muro di Israele, alle donne saudite non è consentito viaggiare, sposarsi, lavorare o accedere all’assistenza sanitaria senza il permesso di un uomo. Sono molte le donne, anche in Europa, che affrontano coraggiosamente le loro battaglie quotidiane.

Il velo non è un semplice pezzo di stoffa, rappresenta il controllo della sessualità, Il velo è un simbolo ma, oltre, persistono il ripudio per sterilità; matrimoni temporanei senza alcun impegno di mantenimento della donna da parte dell’uomo; la ricostruzione chirurgica dell’imene per non essere rifiutate. La poligamia convive con la convinzione che essere single è una malattia mentale, essere omosessuali una malattia mortale. Per salvare la verginità molte ragazze vengono sodomizzate, molte vengono sfigurate in viso con l’acido. La tranquillità della donna è garantita dalla negazione del proprio corpo, dell'impossibilità di esprimere il proprio pensiero, del diritto di esistere per sé stesse.

La scrittrice palestinese Salwa Salem nel suo libro “Con il vento nei capelli” racconta: “Da noi esiste un’espressione particolare per indicare le ragazze troppo libere 'ala hall shàriha' che significa  'con i capelli sciolti'. Ho sempre trovato singolare che un’immagine così bella, l’immagine di una ragazza con i capelli al vento, fosse un’espressione offensiva.”

Tuttavia - ha scritto la giornalista Giuliana Sgrena nel suo libro ”Il prezzo del velo” -  accanto a donne ancora sottomesse alla legge del burqua, ce ne sono altre che hanno reagito strappando a poco a poco uno spazio di libertà.”

Immagine 60 iran di dio4 1024x1024La poetessa e critica letteraria iraniana Bita Malakuti, che nel 2006 è stata costretta a lasciare l’Iran per ragioni politiche ha scritto che: “Il taglio dei capelli è una vecchia cerimonia usata in Iran e in altri paesi limitrofi. Significa “lutto”: quando ci si trova di fronte a una grande tristezza o rabbia, allora ci si tagliano i capelli. È come ignorare il proprio senso estetico o la propria bellezza per far vedere che si è tristi. Adesso questo è diventato simbolico.”

Un simbolo di rabbia; un urlo che invoca un cambiamento laddove le grida sono soffocate dalla propaganda del regime.

 “Per la prima volta anche i Paesi occidentali stanno ascoltando le nostre voci” – prosegue Marakuti – “Quello che vorrei dire è non confondere quella del regime, che distorce le cose, con quella delle persone che scendono in piazza. Spesso non possono esprimerla, perciò ascoltatela e diffondetela: siate la nostra voce. Non posso prevedere il futuro, ma sono molto fiduciosa: questa rivolta è diversa dal passato, è qualcosa di grande e rappresenta un passo in avanti.

Immagine buon anno 3 768x768Da sempre le donne sono protagoniste d'importanti cambiamenti ovunque nel mondo, per l’affermazione dei diritti e della libertà.