Il Governo italiano vuol farci credere che come Giano, antica divinità romana, è in grado di guardare il futuro e il passato, facendo scelte per il bene del Paese. In realtà, pur spacciandosi per essere una forza politica di avanguardia non sa guardare al futuro, ha a cuore solo la sua storia passata (anche la più oscura) e, di sicuro, non sa governare il presente.
Diversamente non avrebbe votato l'altro ieri al Consiglio Ue Ecofin, insieme all'Ungheria, contro la nuova direttiva europea sulle case green, cioè quella che prevede di rendere il parco immobiliare di ogni Stato europeo a emissioni zero entro il 2050 e non sarebbe, tra i Paesi del G20 - come ha certificato il Rapporto di Oil change international e Friends of the earth Stati Uniti, in collaborazione con altre 23 associazioni tra cui l’italiana Recommon - la prima in Europa in termini di finanziamenti pubblici ai combustibili fossili, e quinta a livello globale dopo Canada, Corea del sud, Giappone e Cina.
L’Italia, infatti, con i suoi 2,5 miliardi di dollari (nel periodo 2020-2022) ha erogato più soldi al comparto fossile di Stati uniti, Russia e Arabia Saudita. In Italia stanno, inoltre, proseguendo i lavori sulla dorsale appenninica per ampliare la rete del gas del Paese, mentre a Gioia Tauro è prevista la costruzione del rigassificatore più grande d’Europa. E mentre noi trasformiamo il Paese in un’autostrada del gas, gli altri Paesi, che questo gas dovrebbero poi utilizzarlo, nell'attuale fase di transizione energetica vanno in ben altra direzione.
Anche se negli ultimi 7 anni i volumi sono calati del 30% la frenata, come ha spiegato il rapporto, è ancora troppo lenta per assicurare l’abbandono graduale delle fossili in tempi ragionevoli e compatibili con un livello di riscaldamento globale non oltre gli 1,5 gradi. In generale, tra il 2020 e il 2022 le istituzioni finanziarie pubbliche dei Paesi del G20 e le banche multilaterali di sviluppo hanno elargito al mondo fossile ancora una quantità di sussidi diretti pari ad almeno 142 miliardi di dollari (quasi 1,4 volte il sostegno dato alle energie pulite nello stesso periodo).
Si tratta di un investimento 58 volte più alto rispetto al fondo Loss and Damage, il principale veicolo per evitare che il cambiamento climatico affossi i paesi più fragili. Ma la cifra potrebbe essere molto più elevata dato che gli autori dello studio sottolineano la “mancanza di trasparenza delle istituzioni finanziarie e dei governi” su questo tema. La maggioranza dei finanziamenti è rivolta al gas (il 54% del totale), mentre il 65% di tutto il denaro destinato alle fonti fossili è passato dalle agenzie di credito all’esportazione.
In merito al capitolo delle agenzie per il supporto al credito per l’export, l'Italia è tra i Paesi più attivi nei finanziamenti alle fossili. Solo nel 2023, attraverso SACE, ha convogliato in progetti su gas e petrolchimico 4,95 mld $, e nel corso del 2024 “probabilmente approverà centinaia di milioni per progetti di combustibili fossili in Vietnam, Brasile e Mozambico”.
Come ha ricordato Ivan Manzo, referente ASviS del Gruppo di Lavoro sugli SDGs 6-14-15 (acqua, ecosistemi marini e terrestri): "È difficile crederlo ma, nonostante gli impatti della crisi climatica siano sempre più evidenti, e nonostante i ripetuti allarmi lanciati dalla comunità scientifica che vedono proprio nell’Italia uno dei Paesi più esposti a fenomeni quali siccità e desertificazione, ondate di calore ed eventi metereologici estremi, il nostro Paese e il resto del mondo continuano a viaggiare “verso l’inferno climatico con l’acceleratore premuto", tanto per usare le parole del Segretario generale delle Nazioni unite, António Guterres."
Ciò spiega perchè, come abbiamo scritto nell'articolo pubblicato lo scorso 9 aprile (CORTE EUROPEA CONDANNA LA SVIZZERA PER "INAZIONE CLIMATICA"), nel corso del 2023 si sono tenute varie udienze alla Corte dei diritti dell'uomo (e della donna) inerenti a cause portate avanti da cittadini europei che denunciavano l’inazione dei loro Paesi di fronte al cambiamento climatico. "Dal 2015 al 2023, quando si contavano 2341 cause aperte, il numero di climate litigation nel mondo è più che raddoppiato e, di questo passo, il numero non può far altro che crescere."
Per fortuna non tutto è fermo all'anno zero: siamo riusciti ad ottenere la modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione (richiesta portata avanti proprio dall'Alleanza per lo sviluppo sostenibile, a cui fa parte anche l'Associazione Nuove Ri-Generazioni), tema di cui si parlerà a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni, durante l’evento del 20 maggio (pomeriggio) del Festival dello Sviluppo Sostenibile dal titolo “Clima in Costituzione: il futuro delle politiche pubbliche”. L’iniziativa, organizzata dall’ASviS insieme a Ecco, il think tank italiano per il clima, intende approfondire proprio l’impatto di questa modifica sulle climate litigation e sulle questioni inerenti le diverse dimensioni della decarbonizzazione. Un aspetto verso cui i giuristi italiani mostrano sempre più interesse, come conferma il documento “Le nuove sfide del diritto dell'ambiente dopo la riforma degli artt. 9 e 41 cost. - i doveri e le responsabilità delle imprese nella doppia transizione” rilasciato dalla fondazione Astrid a fine marzo.
* Foto di David Underland su Unsplash
Per la Redazione - Serena Moriondo