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Sono cinquanta i siti Unesco che l’Agenzia Climate X, specializzata nell’analisi di dati sul rischio climatico, indica come realtà minacciate dal cambiamento climatico.

La stessa Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura aggiorna costantemente la lista dei patrimoni dell’umanità in pericolo. Un elenco complessivo che finora ha tenuto conto, principalmente, di fattori politici e sociali, monitorando gli effetti di guerre, conflitti civili, atti terroristici, speculazione edilizia e sfruttamento delle risorse naturali in nome della crescita economica.in Italia dal 2024 vi risultano iscritti 60 siti, tra i più recenti Carsismo e grotte nelle evaporiti dell'Appennino settentrionale e Via Appia, Regina Viarum.

Entro il 2050, come evidenziato da Artribune in un recente articolo, diverse decine di luoghi e monumenti dal patrimonio culturale globale, tutelati dall'Unesco, potrebbero sparire o essere soggetti a danni irreparabili a causa di inondazioni, erosione costiera, frane, pericoli causati dal vento, tempeste e cicloni che i modelli climatici predittivi sono in grado di anticipare.

Attraverso la piattaforma Spectra, che prefigura il modo in cui il cambiamento climatico influenzerà proprietà, beni e infrastrutture in diversi scenari, quantificando il rischio di eventi meteorologici estremi (inondazioni, cicloni, surriscaldamento estremo…) per modellare la probabilità futura – nell’arco dei prossimi 100 anni – di 16 diversi pericoli climatici, gli analisti sono riusciti a isolare cinquanta siti in pericolo.

Se le emissioni globali di gas serra continueranno ad aumentare al ritmo attuale, spiegano gli esperti di Climate X, sarà l’ultrasecolare sistema di irrigazione di Subak, in Indonesia, databile al IX Secolo, a rischiare maggiormente, minacciato da siccità e inondazioni. Ma in cima all’elenco si segnalano anche il Parco Nazionale Kakadu, in Australia, soggetto a potenziali inondazioni e incendi, e l’Emporium of the World di Quanzhou, testimonianza del fiorente passato commerciale della città cinese, potenza marittima durante le dinastie Song e Yuan tra il X e il XIV Secolo.

Dal sistema montuoso dello Jungfrau-Aletsch, che in Svizzera preserva (per ora!) la più grande area glaciale contigua delle Alpi, al complesso dei monasteri buddhisti coreani, all’Olympic National Park nello Stato di Washington, tutelato dall’Unesco dal 1981, all’abbazia cistercense di Fontenay in Francia, l'Opera House di Sidney, il Tempio del Sole di Koranak in India, le pitture rupestri della grotta di Pont d’Arc in Francia. Anche il Regno Unito vede coinvolti ben quattro dei suoi siti Unesco: il Forth Bridge in Scozia, l’isola di Saint Kilda nell’arcipelago delle Ebridi, il villaggio di mulini settecenteschi di New Lanark e lo Stadley Royal Park nello Yorkshire, tutti esposti al rischio di inondazioni costiere, frane e forti tempeste. Proprio in Gran Bretagna anche l’Università di Newcastle si è attivata per valutare gli effetti del cambiamento climatico su altri siti a rischio, tra cui il Vallo di Adriano.

Sono siti molto diversi tra loro e dislocati a ogni latitudine del globo, siti che i Governi dovranno porre sotto osservazione attivando politiche per contrastare i cambiamenti climatici in modo urgente ed efficace. L'Italia per ora parrebbe esclusa da tale rischio ma con i suoi 60 siti non può stare per nulla tranquilla. Un anno fa, infatti, anche Venezia ha rischiato di entrare nell’elenco dei patrimoni a rischio a causa degli effetti del cambiamento climatico combinati alla piaga dell’overtourism. Ne abbiamo parlato QUI.

* Foto di iSAW Company su Unsplash

Per la Redazione - Serena Moriondo