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Solo il 12% degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile sono sulla buona strada per il 2030, tanto da spingere le Nazioni Unite a chiedere un “piano di salvataggio” per identificare sei transizioni chiave per accelerare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

E', quindi, necessaria un'azione multilaterale inclusiva, interconnessa ed efficace per rispondere meglio e garantire pace e prosperità alle persone e al pianeta e per far sì che il mondo possa rimettersi in carreggiata rafforzando l’azione sugli obiettivi adottati nel 2015 dall’ONU.

Il progetto dell'Acceleratore Globale contribuisce alla transizione verso la protezione sociale e il lavoro dignitoso, che è una delle sei principali transizioni che guideranno il progresso verso i 17 Goal. Le altre sono un sistema d'istruzione di qualità; una sanità inclusiva pubblica centrata su servizi di prevenzione, nelle terapie e nelle cure palliative, con sistemi informativi integrati per la sorveglianza e il controllo delle malattie; l'accesso universale alle fonti energetiche pulite; l'accesso universale al cibo attraverso un'alimentazione sana e più sostenibile, sia dal punto di vista della produzione che del consumo, sul piano ambientale; la tutela e il miglioramento della qualità delle aree urbane; l'adozione di una serie di standard normativi, infrastrutture fisiche e sistemi digitali per cogliere i benefici della rivoluzione digitale, evitando al contempo le numerose potenziali insidie per le fasce più deboli della popolazione.

E' un obiettivo giusto e ambizioso: lanciato nel settembre 2021 dal Segretario generale delle Nazioni Unite insieme a FAO, UNDP, UNICEF, UN Women and World Food Programme, il progetto vuole rappresentare la risposta collettiva per affrontare le molteplici sfide che minacciano sempre più di cancellare i progressi nello sviluppo.

L'iniziativa mira ad accelerare i progressi verso gli SDG superando le sfide persistenti di:

  • povertà (nel 2022 circa 670 milioni di persone vivevano in condizioni di povertà estrema),
  • disuguaglianza di reddito, disuguaglianza orizzontale (possibilità di vita delle persone influenzate da genere, età, etnia e altre caratteristiche),
  • occupazione informale (58% dell’occupazione totale),
  • divario occupazionale globale (453 milioni nel 2023, di cui almeno 269 milioni di giovani che, nel 2023, non hanno avuto un lavoro, istruzione o formazione)
  • divario in termini di copertura e adeguatezza della protezione sociale (4 miliardi di persone escluse dalla protezione sociale) 
  • riduzione della quota di reddito globale delle lavoratrici e dei lavoratori (dal 54% al 52% nel periodo dal 2004 al 2021). 

Non è possibile accelerare il progresso e raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile senza, infatti, affrontare il divario globale in termini di posti di lavoro e protezione sociale. Accelerazione che verrà realizzata solo aumentando gli investimenti pubblici e privati ​​nazionali e internazionali anche attraverso il pilastro di finanziamento integrato dell’Acceleratore Globale e sostenendo la progettazione, l’attuazione e l’espansione delle politiche e delle istituzioni nazionali in materia di protezione sociale e occupazione.

Il progetto mira inoltre a facilitare le transizioni giuste nella vita e nel lavoro per le persone nel contesto di sfide nuove ed emergenti, come il cambiamento climatico (ad esempio, adattamento e mitigazione del cambiamento climatico, transizione energetica giusta), cambiamenti demografici (sviluppo di posti di lavoro dignitosi nel mondo) economia della cura, accesso a opportunità di lavoro dignitose per i giovani e trasformazioni strutturali dell’economia (trasformazione dei sistemi agroalimentari, digitalizzazione, ecc.). Per superare le sfide persistenti ed emergenti, l’Acceleratore Globale promuove lo sviluppo e l’attuazione di approcci politici integrati che combinino l’accesso alla protezione sociale con le  politiche occupazionali e settoriali.

L’Acceleratore promuove anche la cooperazione multilaterale all’interno di ogni Paese (attraverso piattaforme e sinergie interministeriali), con le parti sociali e la società civile che contribuiscono a un rinnovato contratto sociale, con i donatori e le Banche di sviluppo, l’ONU e altri stakeholder, per garantire un’azione coordinata e coerente sostegno politico, tecnico e finanziario.
 
Ogni intervento integrato deve, secondo l'OIL, essere adattato alle priorità, alle circostanze e agli effetti previsti di ciascun Paese. Per questo, nel nuovo Rapporto dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) vengono evidenziati i primi risultati che riguardano i progressi raggiunti in Paesi come Albania, Capo Verde, Cambogia, Colombia, Malawi, Indonesia, Namibia, Nepal, Filippine, Senegal, Ruanda, Uzbekistan, Vietnam, Repubblica democratica del Congo. Ma le sfide globali sono tali perchè coinvolgono ogni Paese del mondo, anche quelli più avanzati, anche quelli con legislazioni sul diritto del lavoro e sulla previdenza sociale più progredite.
 
L’aumento di produzione e distribuzione di beni e servizi nelle catene globali e nazionali di fornitura o di valore (global supply chains e global value chains), è una delle caratteristiche più significative delle trasformazioni dell'organizzazione del lavoro degli ultimi decenni. L'economia informale, il lavoro nero, lo sfruttamento sono in aumento ovunque. Questi cambiamenti avvengono in un contesto di grandi trasformazioni tecnologiche, energetiche, economiche mentre la giustizia sociale e la sostenibilità ambientale sono spesso calpestate. Anche nei Paesi europei - alcuni dei quali come l'Italia, la Francia, la Germania, fanno parte delle sette nazioni più industrializzate al mondo (G7) - sempre più spesso viene ignorato il rispetto dei diritti umani e del lavoro, inclusi la libertà di organizzazione, il diritto alla contrattazione collettiva, alla protezione della salute e della sicurezza.
 
Non a caso, in Italia, la Cgil -  il 19 luglio scorso - ha consegnato 4 milioni di firme in Cassazione, raccolte in poco più di due mesi in tutto il Paese, per i 4 referendum per un lavoro stabile, sicuro, tutelato e dignitoso.
"Il lavoro in Italia - si legge nel sito della Cgil - è troppo precario e i salari sono troppo bassi. Tre persone al giorno muoiono lavorando. Per realizzare il massimo profitto possibile appalti, subappalti, finte cooperative, esternalizzazioni di attività sono diventati normali modelli organizzativi di ogni azienda privata e pubblica. Il frutto di vent’anni di leggi sbagliate è un netto peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone che per vivere devono lavorare. È il momento di ribellarci e di cambiare. Il lavoro deve essere tutelato perché è un diritto costituzionale. Deve essere sicuro perché di lavoro si deve vivere e non morire. Deve essere dignitoso e perciò ben retribuito. Deve essere stabile perché la precarietà è una perdita di libertà."
 
Ma il lavoro è solo una delle due facce della stessa medaglia, un'economia veramente inclusiva e sostenibile rappresenta la seconda. Per questo, è necessario un profondo cambiamento strutturale.
Alcuni economisti, come Mariana Mazzucato (ne abbiamo parlato nell'articolo "La storia si ripete ma possiamo fare meglio" del 9.07.2024) ritengono che sia necessaria "una nuova economia del bene comune". "Dobbiamo ampliare il pensiero economico - ella ha scritto - modellare i mercati del futuro, massimizzando il valore pubblico nel processo [..] dobbiamo abbracciare un'economia completamente nuova.
La maggior parte del pensiero economico odierno assegna allo Stato e agli attori multilaterali la responsabilità di rimuovere gli ostacoli all'attività economica, ridurre i rischi commerciali e finanziari e livellare il campo di gioco per le imprese. Di conseguenza, i governi e gli istituti di credito internazionali armeggiano ai margini dei mercati, piuttosto che fare ciò che è effettivamente necessario: modellare deliberatamente il sistema economico e finanziario per promuovere il bene comune
."
 
Questo aiuta a spiegare perché il mondo sta facendo così pochi progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile, che dovrebbero essere raggiunti entro il 2030, e perché, poiché l'azione ritarda, i costi (anche sociali) per raggiungere gli obiettivi SDG stanno aumentando.
 
Per la Redazione - Serena Moriondo