di Serena Moriondo
Nel corso di questa settimana, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ha pubblicato un editoriale di Donato Speroni, Responsabile della Redazione del sito di ASviS, dal titolo “Chi non capisce la complessità può diventare nemico della democrazia”.
Nel “Caffè_pubblicato_sul_Corriere_della_Sera_di_mercoledì_17_.pdf - racconta Speroni - Massimo Gramellini punzecchia Noémie Giard, curatrice del museo Carnavalet dedicato alla storia della città di Parigi, perché ha trasformato Luigi XIV in Luigi 14 (“come un taxi”) affermando appunto che “i numeri romani non possono diventare un ostacolo alla comprensione”.
“Ai tempi di Luigi XVI-16 – scrive Gramellini - le avrebbero tagliato la testa per molto meno. Noi gliela risparmiamo volentieri, a condizione però che la usi. Perché questa storia dei numeri romani è la sintesi perfetta della catastrofe culturale in corso: prima non si insegnano le cose, e poi le si eliminano per non far sentire a disagio chi non le sa. Con buona pace di madame Giard, i numeri romani andrebbero difesi proprio perché sono «un ostacolo alla comprensione», dal momento che gli ostacoli servono per imparare a saltare.”
Il tema riguarda l’educazione rivolta ai giovani (anche alla luce delle valutazioni contrarie su come viene utilizzata la didattica a distanza) ma, anche, più in generale all’educazione di massa, soprattutto ora che è riemersa, dopo anni, la proposta di estendere il diritto al voto ai sedicenni e il rilancio della discussione sul lo Ius soli (temperato e culturae).
Quale visione del futuro hanno i giovani, se e quando votano? Si domanda Speroni, sostenendo con ragione che l’educazione è una sfida mondiale, e se vogliamo che la democrazia trionfi è necessario porsi “il problema dell’istruzione globale, che si affronta anche parlando dell’Agenda 2030”. Vi consiglio di dedicare un po’ del vostro tempo alla lettura dell’editoriale e, nel frattempo, propongo una riflessione.
Ogni anno giovani, uomini e donne, si affacciano al mondo del lavoro. Con quale preparazione, con quale consapevolezza di quello che li aspetta, con quale visione del futuro? E’ una domanda interessante che, oltre ad interrogare le famiglie, dovrebbe trovare l'interessamento delle forze politiche e sociali, delle istituzioni scolastiche e culturali del Paese.
Il sindacato, negli anni, si è posto il problema dei rapporti tra sapere e lavoro, tra scuola, università e ricerca e i processi di emancipazione del lavoro e nel lavoro. Lo ha fatto, con grande competenza, un grande Dirigente sindacale della Cgil, Bruno Trentin.
In occasione del conferimento della laurea ad honorem da parte dell’Università Ca’ Foscari, il13 settembre del 2002, Trentin nella sua lectio doctoralis iniziava il suo intervento così:
“Il tema di questo mio intervento riguarda il rapporto fra lavoro e conoscenza. L’ho scelto perché mi sembra che in questo straordinario intreccio che può portare il lavoro a divenire sempre più conoscenza e quindi capacità di scelta e, quindi, creatività e libertà, proprio perché si tratta soltanto di una potenzialità, di un esito possibile, ma non certo, delle trasformazioni in atto nelle economie e nella società contemporanea, sta la più grande sfida che si presenta al mondo all’inizio di questo secolo. La sfida che può portare a sconfiggere le vecchie e nuove disuguaglianze, e le varie forme di miseria che dipendono soprattutto dall’esclusione di miliardi di persone da una comunità condivisa.”
La sfida del mondo, scriveva Trentin, "è portare il lavoro a divenire sempre più conoscenza, e quindi capacità di scelta, creatività e libertà". Una sfida piuttosto complessa. Bruno Trentin - da studioso dell’evoluzione del mondo del lavoro e dei rapporti economici e sociali che sono in grado di condizionarlo - ha sostenuto “(…) che la forma personale della conoscenza che entra nel processo produttivo risulta quella determinante nella competizione e nella produzione della ricchezza”. Con il termine conoscenza non si deve intendere solo "know how, oppure un sapere codificato ma anche la creatività, l’iniziativa, la padronanza dei linguaggi e delle relazioni comunicative, la responsabilità per i risultati delle proprie attività", insomma l’insieme delle capacità personali che un lavoratore o una lavoratrice impiegano, che hanno acquisito a scuola e all’università, nei luoghi di lavoro e nell’apprendimento personale che devono tenere aggiornato e rinnovare continuamente e che è parte integrante della loro personalità di lavoratori e di cittadini.
Egli, inoltre, scriveva: “Un nuovo contratto sociale, inclusivo di un welfare effettivamente universale, diventa peraltro imperativo di fronte alle gravi disuguaglianze che contraddistinguono, prima di tutto in termini di opportunità, l’accesso ai servizi sociali fondamentali, a cominciare dalla scuola e dalla formazione." Il cuore del problema a cui occorre dare una risposta è il bisogno di “conoscenza non frantumata”.
Diversi anni dopo la sua scomparsa (da ex sindacalista che ha avuto la fortuna di conoscerlo, mi onoro di poterlo rircordare con confidenza oltre che con profonda stima), molti dei problemi che Bruno ha trattato sono rimasti tuttora aperti e richiedono che qualcuno raccolga questa sfida: la libertà non è mai scissa dalla conoscenza e sapere e saper fare si completano.
I giovani non possono che essere i veri protagonisti di questa sfida.