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A luglio ha preso il via una misura che dovrebbe mitigare gli effetti della povertà energetica, si tratta del reddito energetico, che secondo i più recenti dati dell’Osservatorio italiano sulla povertà energetica (Oipe) a fine 2022, in Italia, interessava 2 milioni di famiglie. Il reddito energetico è stato introdotto nel 2023 dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica nel Piano di sviluppo e coesione 2020-2024. A fine gennaio era entrato in vigore il Decreto ministeriale CER con le modalità di incentivazione per sostenere l’elettricità prodotta da Comunità energetiche rinnovabili e dall’autoconsumo diffuso. Ne abbiamo parlato QUI.

La misura si attua attraverso un Fondo rotativo per la realizzazione di impianti di produzione di energia da fotovoltaico in autoconsumo, per le famiglie con Isee tra 9mila e 15mila euro annuo, a seconda della numerosità dei componenti il nucelo familiare.

Il Fondo stanzia i contributi tramite il Gestore dei servizi energetici (Gse) che li alloca direttamente agli istallatori registrati in un apposito albo, senza esborso per le famiglie beneficiarie. Si tratta di un contributo fisso di 2mila euro, più una quota variabile di 1500 euro per ogni kilowattora istallato, comprensivi di un’assicurazione per 10 anni sui rischi, inclusi quelli cyber. In cambio i beneficiari cederanno i proventi per l’energia non autoconsumata, che andranno a reintegrare il fondo stesso.

Per il biennio 2024-2025 sono stati stanziati 100 milioni ciascun anno, l’80% dei quali è destinato al Sud e sin dalle prime settimane di luglio sono stati prenotati tutti gli 80 milioni disponibili, per un totale di circa 10.500 richieste, mentre nelle restanti regioni è stato prenotato solo il 25% dei fondi disponibili.

Si tratta di una misura economica necessaria dato il tasso di povertà diffuso ma che ricalca il solito sistema di incentivi di cui abbiamo parlato nell'articolo "Bonus" nell'ottobre 2022.

Negli ultimi trent’anni l’Europa ha visto interrompersi la riduzione dei divari di reddito, mentre le disuguaglianze si sono fortemente concentrate a livello territoriale. Il nostro Paese ne è un esempio concreto. Per misurare le differenze che sussistono tra i redditi percepiti, si utilizza l’indice di Gini. Questo numero può avere valori compresi tra 0% e 100%. Più è basso, più ci si avvicina a una situazione di perfetta uguaglianza in cui tutte le persone hanno il medesimo reddito. Più è alto invece più i redditi sono concentrati in mano a pochi ricchi. L’Italia ha un indice Gini di 32,7% (ultimo dato disponibile 2022), che ci pone purtroppo nella parte alta della classifica continentale delle disuguaglianze. Per dare un riferimento, i Paesi che si caratterizzano per un indice maggiore di quello italiano sono tutti nell’Europa orientale: Bulgaria (38,4%), Lituania (36,2%) e Lettonia (34,3%).

In Italia è aumentata la povertà tra gli anziani soli, gli stranieri, i giovani under 34 ma anche tra le lavoratrici e i lavoratori precari, grigi o al nero, quindi, anche sul piano energetico, non c'è da stupirsi se vi è stata una così rapida e consistente adesione nelle richieste del contributo energetico al Sud.

ASviS che ritiene che questo risultato confermi la validità della misura, pone una riflessione per l’utilizzo dei fondi per il 2025. Gli esperti sostengono, infatti, che "la misura è stata pensata nel solco dei classici incentivi da distribuire su una platea molto più vasta (due milioni di famiglie) di quella realmente impattata dalle risorse disponibili. Questo tipo di meccanismo per affrontare la transizione energetica e in particolare una giusta transizione, si rivela però poco efficiente e iniquo. Iniquo perché a causa della necessità per accedervi, del possesso di un titolo reale di proprietà su un tetto o comunque una superficie per istallare i pannelli, discrimina tra chi il tetto ce l’ha e chi no.

Questa discriminazione sulla fruibilità di incentivi pubblici, peraltro nega anche il principio di inclusività previsto dall’Agenda 2030 per le energie rinnovabili, ed è particolarmente ingiusta in questo caso in quanto la discriminazione è tra famiglie di cittadini ugualmente in difficoltà. Inoltre la parcellizzazione degli impianti finanziati, che alla fine del biennio potrebbero risultare oltre 30mila, e dei conseguenti interventi di istallazione, rende la spesa pubblica poco efficiente in quanto lo stesso obiettivo si potrebbe raggiungere con costi inferiori e in tempi nettamente ridotti, attraverso la realizzazione da parte dello Stato di impianti “utility scale”."

Perché allora - si domanda Vanni Rinaldi, giornalista ed esperto ASviS - "non migliorare e rendere più efficiente la misura creando delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer) pubbliche con costi inferiori e maggiore equità partecipativa? Per esempio con lo scambio virtuale dell’energia rinnovabile, attraverso delle Cer (o forme analoghe di autoconsumo collettivo) operanti con grandi impianti sulle numerose istallazioni del ministero della Difesa (peraltro dotato di struttura operativa ad hoc), come ex-aeroporti o ex- caserme o capannoni e poligoni dismessi, che consentirebbe di far accedere le famiglie, richiedenti il reddito energetico, con semplici domande di adesione in base ai requisiti di reddito e senza dover fare lavori in casa. In questo modo, oltre al risparmio sui costi dei pannelli che per i grandi impianti secondo i dati del Gse potrebbero arrivare anche al 15%, si avrebbe anche il risparmio dei costi di istallazione e allaccio, guadagnando quindi anche sui tempi di messa a disposizione del reddito energetico per le famiglie coinvolte. Questo modello delle Cer pubbliche contro la povertà energetica consentirebbe, a parità di risorse stanziate, di raggiungere circa un 40/50% in più di famiglie di quante verranno coinvolte con l’attuale modello diffuso.Sarebbe inoltre facile in questo modo, aprire questa misura a eventuali finanziatori privati, come le fondazioni e le associazioni non profit che sono impegnate nella lotta alla povertà energetica, aumentando le risorse economiche a disposizione delle famiglie interessate."

A fine febbraio, un  Rapporto di Legambiente, registrava 154 configurazioni in esercizio, di condivisione energetica "virtuale", tra CER e autoconsumo collettivo rispetto ad un potenziale stimato di 400. Un numero che impallidisce in confronto all’esperienza di grandi Paesi europei come la Germania o i Paesi Bassi che, già nel 2021, contavano rispettivamente oltre 1.700 e 700 Comunità.

Con il Rapporto "Scacco matto alle rinnovabili" Legambiente ha mappato, ad inizio anno, i i blocchi che ancora impediscono lo sviluppo di queste tecnologie nel nostro Paese. A frenare le rinnovabili ritardi sulla normativa, lungaggini autorizzative, conteziosi soprattutto da parte delle Regioni e di alcuni dicasteri. Gli ostacoli al fotovoltaico in molte aree del territorio nazionale sono dovuti principalmente:

  • ad un problema di connessioni. In particolare i distributori prevedono tempistiche anche pluriennali per poter attivare la connessione. La lentezza del processo autorizzativo di selezione dei progetti porta a una saturazione anche virtuale della rete, che si trova ad avere una quantità di richieste di connessione superiore alla sua capacità effettiva;
  • ad una sovrapposizione fra la disciplina nazionale e quelle regionali. Molte regioni, anche nelle aree agricole idonee, hanno limitato la possibilità di realizzare nuovi impianti rinnovabili prevedendo la necessità di mantenere rapporti fra la superficie disponibile e quella dedicata all’impianto, e così imponendo l’acquisizione di aree 10/20 volte maggiori all’area d’impianto. Il che spesso è impossibile o insostenibile economicamente. A ciò deve aggiungersi che la possibilità di utilizzare procedure abilitative semplificate è legata alla conformità dell’intervento allo strumento urbanistico. Il Comune dovrebbe limitarsi a verificare che la realizzazione dell’impianto non impatti sulle infrastrutture minime di urbanizzazione esistenti o già previste, in quanto l’impianto fotovoltaico in sé non richiede opere di urbanizzazione. Molti Comuni, andando oltre le proprie competenze in materia urbanistica fanno invece discipline che limitano l’installazione degli impianti fotovoltaici sul proprio territorio;
  • alla mancanza di criteri di indirizzo uniformi per le valutazioni paesaggistiche, che è causa di conflitto e ritardi. Molto spesso gli uffici del ministero della Cultura rendono pareri non positivi nell’ambito delle procedure ambientali o di autorizzazione. Il conflitto fra la tutela del paesaggio e la installazione dei nuovi impianti rinnovabili rimane indubbiamente una questione ancora aperta. Così per il VIA, infatti anche le procedure di "valutazione di impatto ambientale" hanno tempistiche di gran lunga superiori a quelle previste dalla normativa vigente.

A due anni dal lancio del piano RepowerEU vi sono Paesi fortemente industrializzati, come la Germania, che sono in grado di di soddisfare la maggior percentuale di domanda di elettricità giornaliera da fonti rinnovabili, grazie anche alla disponibilità di molte imprese a realizzare impianti in grado di soddisfare i propri bisogni energetici senza emettere CO2 in atmosfera e facendo calare notevolmente la domanda di energia prodotta con combustibili fossili e quindi inquinanti. In Italia esistono incentivi e agevolazioni per le imprese per questo tipo di investimenti già da alcuni anni. Gli incentivi disponibili nel 2024 includono agevolazioni fiscali, crediti d’imposta e sussidi specifici per le aziende che scelgono di investire in tecnologie rinnovabili. Queste agevolazioni rendono l’investimento in fotovoltaico non solo sostenibile ma anche economicamente vantaggioso.

Insomma, l'Italia può fare di più e meglio sia in termini di CER sia di impianti di autoconsumo a livello industriale, sia di impianti, ad esempio, attraverso una  trasformazione dei grandi parcheggi o di aree desolate in zone utili per il contrasto ai cambiamenti climatici attraverso la realizzazione di impianti fotovoltaici a copertura con produzione di energia utile per gli edifici circostanti e, naturalmente, l'eliminazione di cemento e asfalto per ripristinare almeno parzialmente la permeabilità del suolo e la realizzazione di alberature o altre tipologie di coperture verdi per ridurre l’irraggiamento e favorire la biodiversità (vedi, tra i vari contributi pubblicati: "Case e alberi: una convivenza difficile ma non impossibile"; "Appello per un  '100% RINNOVABILI NETWORK'”; "PNIEC ITALIA: un'idea inadeguata del futuro energetico e climatico del Paese"; "Opuscolo n.2 - Comunità energetiche, quando la rigenerazione passa attraverso l'energia pulita".)

* Foto di Gary Walker-Jones su Unsplash

Per la Redazione - Serena Moriondo